Bordin, terra e libertà: "Noi avevamo più fame. Il segreto? Mi divertivo"
È stato il primo italiano capace di vincere la Maratona olimpica, a Seul nel 1988 "Crescere in campagna mi ha dato valori, senza gli ’sgarri’ non sarei stato io".

Gelindo Bordin all’arrivo della Maratona di Seul, vinta alle Olimpiadi del 1988. Nel riquadro Bordin oggi
Gelindo Bordin, primo italiano della storia a vincere la Maratona alle Olimpiadi, a Seul ’88: che cosa fa oggi?
"Da tempo lavoro per la Diadora con la responsabilità della direzione dello sport marketing, le sponsorizzazioni per atletica, calcio e tennis, coordinando le funzioni legate a prodotto, innovazione, marketing e vendite".
Quindi a contatto con gli atleti. Essere un ex campione è un vantaggio?
"Sì, è un bonus perché capisco le loro esigenze, riesco a mediarle con quelle dell’azienda, anche se a volte sto un po’ tra l’incudine e il martello. Oggi è più difficile fare rendere gli investimenti sugli atleti, tutto viene bruciato in maniera spasmodica rispetto ai miei tempi".
I suoi successi però sono ancora ricordati a distanza di quasi quarant’anni.
"In parte è perché sono stato il primo italiano a vincere la maratona olimpica, poi stava iniziando l’era del dominio degli atleti africani, la mia è stata l’unica medaglia bianca nelle corse a Seul, dai cento metri alla Maratona. Aver battuto un keniano e un gibutiano ha aiutato molto, ma è vero anche che io poi ho dedicato molto tempo nel farmi conoscere alle grandi masse, non volevo che la mia vittoria rimanesse confinata all’interno del perimetro dell’atletica leggera. Al punto che dopo aver vinto due Europei e la maratona di Boston qualcuno credeva che avessi vinto anche quella di New York o altre, anche se non era vero...Oggi le cose sono un po’ diverse".
Che cosa intende?
"La federazione ai miei tempi era più attenta a queste cose, oggi c’è anche meno disponibilità da parte degli atleti e si rischia di disperdere un tesoro enorme come l’olimpiade di Tokyo. Jacobs per me doveva diventare un elemento di assoluta attenzione da parte del grande pubblico, non solo quello del settore specifico. E invece se parlo di Mennea ancora la gente lo conosce, se parlo di Jacobs fanno più fatica nonostante lui abbia vinto le Olimpiadi nei cento metri e nella staffetta. Bisognava investirci di più".
Però su quelle imprese l’atletica ha costruito una crescita esponenziale. Davvero l’esempio sblocca le menti?
"È assolutamente vero, anche ai miei tempi l’Italia non era solo Bordin, c’erano anche Panetta, Cova, Pizzolato, Mei, Antibo, poi è arrivato Baldini. Si è creata una tradizione di grandi corridori sulle lunghe distanze, come oggi c’è stato un grande sviluppo della velocità. Se tu vedi una persona con cui vivi tutti i giorni fare una cosa che sembrava impossibile, diventa più semplice credere che la puoi fare anche tu. Nello sport il fattore più importante è la mente".
Quindi basta crederci?
"Una delle cose più importanti è porre l’obiettivo al punto giusto e poi inseguirlo senza compromessi. Quando io avvicinai il professor Luciano Gigliotti facevo il geometra, avevo ottenuto dei buoni risultati, ma dopo le Olimpiadi di Los Angeles ’84 andai da lui e gli dissi: lascio Verona dove sono un dio, lascio il lavoro, mollo tutto, vengo al centro federale di Tirrenia per diventare il numero uno al mondo. Abbiamo inseguito l’obiettivo rischiando tutto, non mi interessava arrivare terzo o vivacchiare. C’è voluto tempo, ma i frutti sono arrivati. Oggi quando sento esultare una promessa per aver fatto il record italiano mi viene da ridere, ai miei tempi quei record erano vicini ai mondiali".
Oggi manca la fame?
"Manca la capacità di saper rischiare come un imprenditore: in rarissimi casi basta un talento enorme per arrivare in alto, i risultati sono legati quasi sempre al lavoro che fai. Oggi se parlo a un giovane di proiezioni sul futuro dei suoi risultati, mi risponde: con calma..."
Il suo successo ispirò Stefano Baldini, altro allievo di Gigliotti nonché l’unico altro italiano a vincere la maratona. Che rapporto avete?
"Buonissimo, al tempo io spinsi molto perché si facesse seguire da Luciano e anche perché lasciasse i diecimila per fare la maratona. I suoi risultati mi rendono orgoglioso, anche se siamo persone completamente diverse nell’approccio alla vita".
Lei raccontò di aver fumato, di apprezzare il vino e di andare in discoteca...
"Io correvo la mattina alle sei, andavo a lavorare e finivo la sera alle undici. Quando ho cominciato a fare l’atleta avevo bisogno di trovare i miei spazi per divertirmi, non sarei stato Bordin neanche nei risultati se non mi fossi anche divertito un po’. Ho fumato solo in un periodo molto buio, ma non puoi togliere il vino a un veneto. E uscire per staccare la spina mi era utile, poi il giorno dopo magari mi punivo con 10 chilometri in più".
Non vinse le Olimpiadi nel ‘92 perché si ruppe il menisco per evitare un atleta caduto. Rimpianti?
"Subito sì, oggi no, perché dico sempre che se c’è un disegno e riesci a seguirlo, puoi sfruttare quello che ti capita nella vita. Nel mio caso entrai in Diadora abbastanza giovane per imparare il mestiere e fare carriera".
Da dove le deriva questa capacità di sviluppare il negativo?
"Dalle origini contadine. Ho vissuto in campagna fino ai 17 anni e sapevamo che poteva arrivare la grandine a distruggere il raccolto. Quando succedeva, si tornava a seminare. Un po’ di leggerezza e la capacità di accettare i fatti della vita è necessaria, io ritengo di essere una persona molto fortunata. Potevo arrendermi quando a 15 anni ero una promessa e mi capitò un problema osseo, potevo mollare quando a 19 anni in Messico presi un virus del quale ancora non abbiamo capito nulla, o quando mi investì un’auto. E invece pensai: cavolo che fortuna, sono ancora vivo".
Oggi è uno dei testimonial del Vicenza Running Festival, 18 eventi dall’8 al 16 marzo.
"È una bella iniziativa perché unisce lo sport praticato a esperienze diverse, con la possibilità di arrivare ai giovani, unire amatori e professionisti fa bene al mondo dello sport e può far crescere le persone del territorio. La contaminazione dei mondi è sempre fondamentale".
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