Castrogiovanni spinge l’Italia. "Sei Nazioni da prendere d’assalto. Quesada ha dato un’identità forte”

Il leggendario pilone fa le carte all’edizione n. 26 al via: "Nessuna avversaria ora vorrà sottovalutarci". Servono due o tre stagioni di altissimo livello per lanciare il movimento, Sinner deve essere l’ispirazione" .

di PAOLO GRILLI
31 gennaio 2025
’Castro’ con i ragazzi dell’Academy

’Castro’ con i ragazzi dell’Academy

Scatta l’ora del Sei Nazioni. Martin Castrogiovanni, che ricordi ha del suo lunghissimo viaggio in azzurro battagliando contro le big d’Europa?

"Per un rugbista questo torneo è il massimo. Non mi ricordo quanti ne ho giocati, quattordici o quindici, non sono bravo coi numeri. Le partite che ti rimangono nel cuore sono la prima, un’emozione incredibile, e l’ultima perché pensi a tutto quello che hai fatto. Ma poi c’è anche l’orgoglio di essere arrivati quarti, nel 2013. Fu il nostro miglior piazzamento".

Questa Italia ha decisamente cambiato marcia dopo anni di grandi difficoltà.

"Certo. Anche se forse sarebbe stato meglio affrontare la Scozia non subito, vorrà rifarsi all’istante dell’ultima sconfitta. Quest’anno nessuna squadra ci sottovaluterà, come forse era in parte successo nel 2024. Ma io sono completamente fiducioso, in autunno è stato vinto il test che si doveva vincere, con la Georgia. Le Zebre e Treviso, come club, dimostrano che il nostro movimento ’ingrana“".

Cos’ha portato agli azzurri il ct argentino Quesada?

"Gonzalo ha avuto il grande merito di dare un’identità che forse mancava al gruppo. Ora sappiamo chi siamo e dove vogliamo andare, che è fondamentale. Quesada è bravo tatticamente, ma la differenza l’ha fatta nel mettersi a fianco dei giocatori, è perfetto nell’essere loro di supporto".

Si rivede oggi in qualche atleta dell’Italrugby?

"Sinceramente no, ma trovo che oggi ci siano diversi giocatori più forti di me! Ma poi non amo fare confronti, ciascuno è interprete del gioco nella propria era. Che senso ha fare una comparazione fra Messi e Maradona? In uno sport tutto cambia molto in fretta, già dagli allenamenti".

Lei ha giocato a lungo e vinto in Inghilterra e Francia. Sono mondi rugbistici inarrivabili per noi?

"Il fattore che sposta tutto è il professionismo, che traina risorse diverse. In Italia il nostro sport è dilettantistico. Questo comporta più difficoltà a emergere a livello internazionale, ma lo spirito e la passione sono indiscutibilmente di alto livello. Rimane che il rugby resta sempre un po’ di nicchia, a una certa età non ne puoi più di prendere botte in campo".

Come colmare il gap anche numerico come movimento?

"Io spero proprio nella Nazionale per un salto anche nel seguito, un po’ l’’effetto Sinner’ che si è verificato nel tennis. Bisogna fare due, tre stagioni di grandi risultati".

Il rugby è meglio del calcio?

"Sono di parte e ovviamente dico di sì. Ma ci sono tanti motivi per sostenerlo. Il terzo tempo dopo le partite, l’obbligo di passare la palla solo all’indietro: i compagni ti devono sempre sostenere nella tua azione e si innesca un circolo virtuoso, perché l’altruismo è l’unica via per vincere. Il sacrificio e le botte prese contribuiscono a costruire amicizie vere e inscalfibili. Quando rivedi dopo tanti anni i tuoi ex compagni e li abbracci, senti emozioni identiche a quelle che nascevano in campo".

I ragazzi sperimentano tutto questo nella Castro Academy, il suo camp estivo di Piancavallo.

"E’ un progetto che ho lanciato per poter restituire al rugby tutto quello che ho ricevuto. L’obiettivo è di insegnare il gioco e di far nascere la passione: un elemento che troppo spesso manca. Lo sport è ’bastardo’, solo due o tre su mille arrivano. Ma se tu fai crescere un atleta, avrai formato anche una grande persona. Il nostro progetto è inclusivo, migliaia di ragazzi sono stati con noi, anche quelli in carrozzina. E’ un grande ’club’ in cui può crescere tanto la consapevolezza di sè, il senso della sfida".

Dieci anni fa le diagnosticarono un tumore: un mese dopo l’intervento, era in campo con l’Italia.

"Ho affrontato questo imprevisto con serenità, senza mai sentirmi solo. Mi ha insegnato questo il rugby. Per fortuna, il tumore poi non si rivelò maligno".

Poi ha partecipato anche a Ballando con le Stelle.

"Che avventura. Sono migliorato tanto anche nel ballo. Ma sono ancora qui che rosico. Volevo vincere".

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