Il grande centrocampista degli anni Sessanta. Jorge Toro un anno dopo, il ricordo del Colo-Colo
Un messaggio speciale della formazione di Santiago per l’ex giocatore scomparso dodici mesi fa

Rubens Merighi e Jorge Toro al Modena in una foto che risale al 1966
"Un dia como hoy, nos dejò uno de los grandes jugadoresdel futbol cileno y que defendido con honores la camiseta de Colo-Colo. Nunca te olvideremos Jorge Toro". L’abbiamo volutamente riportato così, in quell’idioma castigliano che suona come una musica malinconica, il ricordo che il Colo-Colo ha voluto tributare domenica scorsa, ad un anno dalla scomparsa, al grande Jorge Toro, uno dei simboli della formazione di Santiago, dove era nato il 10 gennaio del 1939. Già, Toro. Una sorta di eroe dei due mondi in salsa cileno-gemininana, uno di quei calciatori che sono rimasti nel cuore di una intera generazione di tifosi canarini. ’Adesa agh peinsa al me amigh Giorgio’, diceva sempre, rigorosamente in vernacolo modenese, un tifoso in gradinata quando assegnavano ai gialli una punizione dal limite. Un ricordo del cronista un po’ forse romanzato, ma che rende l’idea di quel calcio romantico, sicuramente più tecnico che fisico, che si viveva in quegli anni al Braglia, anni in cui, con lo stesso Toro, incantava con i colori gialloblù un altro indimenticabile sudamericano, l’argentino Rubens Merighi. Jorge Toro era arrivato in Italia nell’estate del 1962, ingaggiato dalla Sampdoria: era stato suo malgrado uno dei protagonisti di quel Cile-Italia del Mondiale 1962 in quella che verrà sempre ricordata come la ‘battaglia di Santiago’. Una gara già tesa prima dell’avvio, a causa di alcuni articoli dell’inverno precedente di alcuni cronisti italiani che avevano descritto con sincerità ma con eccessiva crudezza la situazione di grande disagio e povertà del paese andino, devastato due anni prima da un grande terremoto.
Inutile dire che la nazionale italiana venne accolta in quel mondiale con grande avversione da parte dei cileni, e non bastarono certo i mazzi di fiori lanciati sugli spalti dagli azzurri: la gara fu durissima, anche a causa di un arbitraggio che non fu definito proprio imparziale dell’inglese Aston. I colpi proibiti dei cileni non vennero visti, le razioni degli azzurri sì, col risultato che l’Italia rimase in nove e cedette 2 a 0, con il gol del raddoppio firmato proprio da Jorge Toro, che eliminò l’Italia da quel mondiale poi vinto dal Brasile. Toro rimase alla Sampdoria un solo campionato, e nel 1963 fu ingaggiato dal Modena, maglia che indossò fino al 1971, con l’unica parentesi di una stagione a Verona, per la precisione nel campionato 1969/70.
Alla fine sono state 155 le gare di Jorge disputate con la casacca canarina, l’ultima il 6 giugno 1971, pareggio del Modena allo stadio Braglia per 1 a 1 contro il Monza, prima di rientrare in Cile e chiudere vla carriera di calciatore con il suo vecchio Colo-Colo. ’Festa il braccio, Toro la mente, Spelta il killer’, recitava in quella stagione uno striscione perennemente esposto nel settore gradinata della tifoseria gialloblù. L’amore della gente canarina per il cileno fu grande, come fu quello di Toro per la città, dove aveva trovato amici e fatto crescere i suoi figli. Nel 1976 tornò per qualche tempo a Modena, allenando questa volta a Pavullo, tra i dilettanti, prima di rientrare definitivamente nella ’sua’ Santiago.
A un anno dalla scomparsa, così come il Colo-Colo, vogliamo ricordarlo anche noi, magari suscitando nei più giovani la curiosità di andare a vedere chi era quella mezzala dai piedi buoni che ha lasciato, oltre all’impronta dei suoi tacchetti, un grande ricordo sul tappeto verde del Braglia.
Alessandro Bedoni
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