L’ultimo Nadal, è la fine dei Giochi. Djokovic vuole l’oro e non fa sconti A Rafa resta soltanto il doppio
Lo spagnolo ha già vinto il titolo, per il serbo il successo a cinque cerchi è ancora un tabù. Ieri tutta Parigi si è fermata, al Roland Garros è andata in scena una sfida iniziata venti anni fa.

Novak Djokovic e Rafa Nadal a fine partite: Roland Garros era gremito per loro
dall’inviato
La gente si era passata parola. Un tam tam. Un segnale di fumo. Un messaggio in codice. Lunedì 29 luglio 2024. Intorno all’ora di pranzo. The Last Dance. L’ultimo spettacolo. Lo show del congedo, dell’addio all’eterno ritorno del sempre uguale. Perché forse è così: noi non lo sapevamo, ma Nietzsche parlava di loro.
Di Rafa e di Nole.Di Nadal e di Djokovic
L’assedio. Parigi si è fermata per una partita di tennis che non assegnava medaglia, era un banalissimo turno di qualificazione. Tra l’altro dall’esito abbastanza scontato, perché Nadal si trascina tra mille e mille acciacchi mentre Djokovic meno di un mese fa ha giocato la finale di Wimbledon.
E però, non ci puoi fare niente. Esistono emozioni che scappano dalla razionalità. Perché la nostalgia è la lama del rimpianto: quando erano giovani gli eroi, eri più giovane anche tu. Tu che li hai visti dominare, delirare, spadroneggiare: ma anche invecchiare e non sempre dolcemente, perché il declino di un fuoriclasse sarà sempre più cupo del tramonto di un impiegato o di un elettricista o di una professoressa.
Ali-Frazier 3. E così ieri al Roland Garros ho visto cose che voi umani, eccetera eccetera. Ho visto impiegati, elettricisti e professoresse aggrapparsi su torrette, appendersi a pertiche, scovare pertugi. Per vederli ancora una volta, pare l’ultima, uno contro l’altro, dicono fosse la sessantesima, la prima vent’anni fa. C’era quella atmosfera di certi match di pugilato. Era come stare a borgo ring a Manila nel 1975, per il terzo definitivo atto della sfida a cazzotti tra Muhammad Ali e Joe Frazier. Magari non fu lo scontro migliore, ma avvertivi il senso del non ritorno.
A Parigi, uguale. Maglietta rossa per entrambi. Nole con occhi da sicario, lui è qua per vincere l’unica cosa che gli manca, l’oro di Olimpia. Rafa ai Giochi ha già trionfato e in questi giorni la Spagna intera lo sogna ancora “campeon” in doppio con il nipotino Alcaraz.
Ma ieri Nadal aveva gli occhi lucidi. Sul campo centrale ha edificato la Leggenda ed è dura immaginare possa disputare un’altra finale agli Open di Francia.
C’eravamo tanto amati, sì. Rafa aveva le gomme bucate e il serbatoio vuoto. Nole lo sapeva o comunque lo ha intuito. Non ha infierito: ha lasciato un gioco allo spagnolo nel primo set e si è fatto rimontare da 4-0 a 4-4 nel secondo, per poi chiuderla lì.
Ma se ancora sei lì che leggi, amico lettore, avrai capito che la partita era solo un pretesto, che il tennis degli dei della racchetta era appunto, ieri, un rito, un momento di intima commozione collettiva.
E in fondo, in fondo, sì, aveva dannatamente ragione Franco Battiato. Ne abbiamo avute di occasioni, perdendole. Ma la stagione dell’amore per lo sport, grazie a Rafa e Nole, non è passata invano.
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