Velasco il rivoluzionario: "Spero che questa vittoria dia una spinta alla parità"

"Chi oggi esalta la squadra faccia in modo che le donne non siano più penalizzate sul lavoro, nei salari, ma anche nelle piccole cose. Il mio futuro? Magari smetto".

di LEO TURRINI« -
12 agosto 2024
Velasco il rivoluzionario: "Spero che questa vittoria dia una spinta alla parità"

Julio Velasco, 72 anni: è tornato alla guida dell’Italvolley femminile nel novembre scorso, dopo una prima esperienza nel 1997

dall’inviato Leo Turrini

"Sì, amico mio: questa vittoria non è del sottoscritto. È delle ragazze, che hanno scritto una altra pagina della silenziosa rivoluzione femminile. Nel mondo e anche nel nostro Paese, dove c’è ancora tanto da fare per una vera parità tra uomo e donna".

Da quanto tempo conosco Julio Velasco? Quarant’anni o giù di lì. L’ho visto trionfare e perdere, perdersi e ritrovarsi. Adesso ha 72 anni e ha coronato l’inseguimento al Sacro Graal, l’oro olimpico. Non lo ammetterà mai, ma è un uomo finalmente in pace con se stesso.

"Ma no, non lo ammetto perché non è vero - sospira -, io detesto le ossessioni. Sì, ad Atlanta con i maschi perdemmo al tie break. Però è sempre stato assurdo ricordarci più per quella sconfitta che per la collezione di trionfi. Siamo strani, noi italiani, se hai vinto devi vincere sempre, che assurdità…".

Eh, Giulio mio, siamo strani sì. In fondo è persino bizzarro che tu sia arrivato in cima con le donne, grazie alle donne. Anche se pochi ricordano che nel remoto 1996 fu Velasco a sedere per la prima volta sulla panchina della Nazionale rosa. Esclamando: non capisco perché le ragazze d’Italia non possano vincere come i maschi. Ipse dixit, quasi trent’anni fa.

"Io col tempo sono diventato sensibile a quella che chiamano questione femminile. Forse perché ho solo figlie e solo nipotine. A chi oggi esalta Paola Egonu e compagne, beh, rivolgo un invito: fate in modo che le donne non siano più penalizzate sul lavoro, nei salari. Anche nelle piccole cose: i bagni pubblici per le donne sono più scomodi perché li progettano i maschi. Dobbiamo imparare a rispettare l’indipendenza di signore e signorine. C’è tanta violenza perché non pochi uomini non accettano che la donna possa decidere da sola della sua vita. E io mi auguro che l’oro di Parigi favorisca un cambiamento".

Velasco è così, da sempre. Ha conosciuto il suo lato oscuro della forza e ne è consapevole: si fece sedurre dal calcio, non fu felice alla Lazio e all’Inter, se non nel portafoglio. Poi a Natale del 2001 mi telefonò, andammo a pranzo a Bologna. Mi disse: torno in palestra, io con altri mondi non c’entro. Repubblica Ceca, Iran, Argentina, i club. Venti anni e passa di deserto. E adesso, eccoci qua.

"Mi hanno offerto questa opportunità e debbo tanto alle insistenze di un amico carissimo che non c’è più, il romagnolo Giuseppe Brusi. Mi manca, così come mi manca Leo Novi, che era un dirigente della Panini. Cosa ho portato a questo gruppo? Poco, mi sono adattato io, all’inizio applicavo concetti maschili, poi ho compreso che le donne sono più coriacee ed intelligenti di noi maschi. Ho spiegato che le volevo autonome e autorevoli, loro hanno persino cambiato il protocollo del riscaldamento da sole e hanno fatto bene. Io sono stato aiutato dal Coni, dalla Fipav e da uno staff super, ho voluto il mio ex giocatore Lorenzo Bernardi e il mio ex vice alla Panini Massimo Barbolini perché credo nel lavoro di gruppo. Paola Egonu? Nessun miracolo, ho parlato con lei e le ho raccontato che ad un certo punto della vita sono stato un personaggio anche io, mi cercava Berlusconi e mi chiamava Veltroni, è difficile restare normali e tu lo sai che a volte nemmeno io ci sono riuscito. Lei ha ascoltato e in campo ha fatto quello che ha fatto".

Sta calando la sera su questa dolcissima domenica parigina. Siamo invecchiati insieme, io e Velasco. Ci capiamo con uno sguardo, ormai.

"Non lo so cosa farò, alla mia età potrei anche smettere. Salutare tutti, dedicarmi al mestiere di nonno, che ne dici?".

Intanto ti dico grazie, per avermi fatto vivere una emozione così alla fine, forse, del nostro viaggio.

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