Charlie Yelverton: dalla NBA a Varese, una carriera tra successi e sfide

La storia di Charlie Yelverton, campione di basket, tra successi in Europa e sfide contro il razzismo.

di ALESSANDRO GALLO
26 maggio 2025
La storia di Charlie Yelverton, campione di basket, tra successi in Europa e sfide contro il razzismo.

La storia di Charlie Yelverton, campione di basket, tra successi in Europa e sfide contro il razzismo.

Se la Virtus, nel 1978, decide di affidarsi alle lunghe leve del carneade Owen Wells (scomparso nel 1993, a 42 anni), lo si deve proprio a lui. Lui è Charlie Yelverton, lo straniero di Varese, capace di vincere Coppa dei Campioni e scudetto, al fianco di Bob Morse. E’ una storia da approfondire, quella di Charles W. Yelverton, nato a New York il 5 dicembre 1948.

Cresce a New York, in un quartiere povero. Si mette in luce nei playground della Grande Mela. Ma non quei playground tirati a lucido, quelli dove il canestro è retto da quattro assi, ci sono un anello di ferro e, molto spesso, anche la retina è dello stesso materiale, per respingere i costi di manutenzione e dell’usura.

Charlie si laurea in Sociologia alla Fordham University, allenato da Digger Phelps. E’ talmente bravo, Charlie che al draft del 1971, i Portland Trail Blazers, lo scelgono al secondo giro. Per uno statunitense di colore, nato povero, il mondo della Nba è un sogno. Ma Charlie, oltre ai sogni, sa bene quello che vuole. Sa quello che cerca nella vita, sa di essere un simbolo. E tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta monta, ben prima del movimento Blacks Lives Matter, la protesta. E in occasione di una partita interna dei Portland Trail Blazers, Charlie decide, per difendere le sue idee, di sfidare l’establishment. Gli altoparlanti diffondono le note dell’inno americano e tutti, tifosi, giocatori, allenatori e dirigenti, sono in piedi con la mano destra appoggiata sul petto all’altezza del cuore?

Benissimo, Charlie resta seduto. E, come lui, Sidney Wicks, che avremmo poi visto in Italia, in maglia Reyer Venezia, nella stagione 1981/82.

Charlie che pensa che tutti siano uguali, è sicuro di ricevere lo stesso trattamento. Magari un richiamo ma la possibilità di continuare a fare quello che gli viene meglio. Giocare a pallacanestro.

Non è così, perché Charlie è una seconda scelta, perché Yelverton non ha il pedigree accademico di Wicks, perché Yelverton è solo una guardia. E di guardie di colore, negli States, ce ne sono una a ogni angolo.

Così, senza nemmeno un grazie, Charlie si ritrova alla porta, bandito dai Trail Blazers e dalla Nba. Il pallone da basket finisce in un borsone che Charlie sistema nel bagagliaio dell’auto. Meglio del taxi perché Yelverton, per sbarcare il lunario, si adatta a fare il taxista.

Il richiamo per il pallone è troppo forte. Il lavoro da taxista, in una città caotica come New York non è il massimo. Così come la sicurezza di notte. E allora Charlie che fa? Di nuovo la valigia, destinazione Europa. Sbarca prima in Grecia, dove gioca una stagione negli Scranton Apollos e una seconda nell’Olympiakos. Ad Atene lo trattano con tutti gli onori, perché Charlie è un califfo. Ma anche in Europa fa la conoscenza di un fenomeno chiamato razzismo. Succede in Coppa dei Campioni: dopo le ovazioni e gli applausi che ottiene al Pireo, ci sono i fischi e gli sberleffi di Sarajevo.

E a proposito di ’razzismo’, c’è un aneddoto citato spesso dalla stesso Yelverton. Quando gioca a Varese, raggiunge Israele con il resto della squadra. Lui deve affrontare il Maccabi. Mentre i compagni sono ancora seduti a tavola, Charlie, che ama tenersi in forma, indossa la tuta da allenamento e comincia a correre lungo una spiaggia. Se non che, nell’Israele di quegli anni, nelle ore notturne, per evitare sbarchi pericolosi, i militari locali liberano i cani in funzione anti-fedayn. Charlie rientra in albergo claudicante: è stato azzannato a una gamba e l’indomani riesce a giocare, nonostante il dolore, grazie a un’iniezione di novocaina.

"Anche qui persino i cani ce l’hanno con le persone che hanno il mio stesso colore di pelle".

Dalla Grecia, finalmente, arriva nel nostro paese, voluto da Sandro Gamba. Lo scopre nei tornei estivi, dove Charlie guadagna al massimo 40 dollari la settimana.

L’inizio non è dei migliori perché Yelverton potrebbe essere considerato uno straniero ’a termine’. Nel campionato italiano si può schierare uno straniero solo. Ma nelle competizioni internazionali è differente. Nasce quello che viene chiamato lo straniero di coppa. E l’11 aprile 1975 Charlie Yelverton ha la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto.

Che cosa accade? Una finale di Coppa dei Campioni. L’Ignis trova, ad Anversa, una squadra ancora più grande, il Real Madrid. Gamba, il tecnico, ha un problema grosso da risolvere. Dino Meneghin, il pivot delle mille battaglie, è ingessato e indisponibile. Ma c’è di peggio, perché sia Morse sia Yelverton sono reduci da una pesante influenza che li ha debilitati. E dall’altra parte del campo, c’è un autentico spauracchio. L’americano, naturalizzato spagnolo, Wayne Brabender, ala che non sbaglia un tiro.

Charlie annulla Brabender, il carneade Sergio Rizzi fa i miracoli e l’Ignis lascia Anversa con l Coppa dei Campioni stretta tra le mani. Un anno a Brescia, poi torna a Varese. Continua a vincere, Charlie, in campionato e in Europa, sempre con la maglia di Varese, sempre per il suo amico Gamba. La parentesi professionistica italiana si chiude nel 1979. Dopo si trasferisce in Svizzera, due stagioni nelle fila del Viganello. Torna poi Italia dove prima gioca, poi allena, a Saronno, portando la squadra dalla serie D alla serie C. Perché fondamentale nell’arrivo di Wells in bianconero? Perché Terry Driscoll si convince che, oltre al talento di Cosic, servano atletismo e fisicità. E quel vicino di casa lo avrebbe aiutato a vincere il suo primo scudetto (da allenatore) al Palazzone di San Siro.

(62. continua)

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