Djordjevic Effe in finale, poi la Virtus tricolore
La parabola di Sale: arriva in Fortitudo nel 1994. Prima in coppia con Esposito poi con Myers. Coach dello scudetto bianconero nel 2021

La parabola di Sale: arriva in Fortitudo nel 1994. Prima in coppia con Esposito poi con Myers. Coach dello scudetto bianconero nel 2021
Quando vince lo scudetto, con la Virtus, strappandolo a Milano, arriva alla Segafredo Arena, trafelato, in sella a uno scooter, accompagnato da un tifoso. C’è chi pensa a Zlatan Ibrahimovic e a Sanremo. In realtà i motorini – proprio così, non gli scooter – fanno parte della storia bolognese di Aleksander Djordjevic già dagli anni Novanta.
All’epoca, la Fortitudo è solita fare le presentazioni all’aeroporto, da Nonno Rossi. E non è inusuale vedere Djordjevic, così come il suo grande amico Dan Gay, in sella a un Ciao Piaggio rosso. Uno per uno, perché pur essendo solido, il Ciao non potrebbe reggere la stazza di due persone che insieme sommano quattro metri e un paio di quintali.
Rispetto a un suo connazionale, Zoran Savic (dalla Virtus alla Fortitudo), compie il cammino inverso (dalla Fortitudo alla Virtus). Anche se, tra un’esperienza e l’altra, passano più di vent’anni.
Ma partiamo dagli inizi, dagli anni Novanta. Djordjevic, che in patria chiamano Sasha, è uno dei figli prediletti del Partizan. E lui, nel 1992, a realizzare la tripla che regala a Belgrado la Coppa dei Campioni.
In quel Partizan ci sono tanti assi: c’è Rebraca, l’allenatore è Zelimir Obradovic, ma gli occhi sono per Predrag Danilovic.
E dopo aver vinto la Coppa dei Campioni insieme, i due serbi – Djordjevic è nato a Belgrado il 26 agosto 1967, Danilovic tre anni dopo – scelgono il Bel Paese. Danilovic sbarca a Bologna, Djordjevic a Milano. Se Danilovic vince subito lo scudetto, Djordjevic si consola con la Korac. Ma è chiaro che l’Olimpia vuole il tricolore e con Djordjevic – due stagioni a Milano – non arriva.
Il tricolore lo sogna la Fortitudo che, promossa in A1, nel 1993, vive un momento felice. Dopo gli anni dell’ascensore – su e giù, tra A1 e A2 – la proprietà è passata nelle mani di Giorgio Seràgnoli, detto l’Emiro. E Re Giorgio fa di tutto per far crescere la squadra. Arrivano Dan Gay e Ale Frosini, Vincenzino Esposito e Dallas Comegys. Per crescere ancora – in panchina c’è Sergio Scariolo, tricolore con Pesaro nel 1990 – l’obiettivo è lui, Djordjevic.
Si ricompone così la coppia del Partizan, solo che questa volta sono su rive differenti. Cosa sia il derby, Djordjevic lo impara subito. Sulla carta, lui è Sasha Djordjevic. Ma a Bologna, nell’immaginario dei tifosi, c’è spazio per un solo Sasha, Djordjevic deve accontentarsi e diventare Sale. E con quel pizzico di Sale la Fortitudo vola. Anche perché, grazie alla proprietà, le stelle non mancano. Prima la coppia Djordjevic-Esposito, poi Djordjevic-Myers. La Fortitudo, che nella storia cominciata nel 1966, ha all’attivo un terzo posto e una finale di Coppa Italia, centra, nel 1996, la prima finale scudetto. E’ la prima di una serie di dieci in undici stagioni.
Dopo aver vinto gara-uno in casa e perso a Milano, la Fortitudo cade in casa. Scariolo e l’Aquila non ci stanno: fanno rivedere una serie di azioni nelle quali Djordjevic subisce una cura durissima da parte dei difensori di Milano del coach Tanjevic. Non basta per vincere lo scudetto, ma la Fortitudo sembra lì lì…
Il problema – a distanza di anni il mistero resta, perché ogni cittadino di Basket City vi offrirà una chiave di lettura diversa – è che in quell’estate del 1996 succede l’incredibile. La Fortitudo decide di separarsi da Djordjevic – fugace apparizione nella Nba con i Portland Trail Blazers, prima di approdare in Spagna – e puntare su John Kevin Crotty
Scelta così azzeccata che Valerio Bianchini, chiamato sulla panchina dell’Aquila al posto dell’esonerato Scariolo, punta su Eric Murdock. Crotty farà ritorno nella Nba, senza lasciare il segno.
Djordjevic, invece, il segno lo lascia in Spagna: prima Barcellona, poi Real Madrid. Tre scudetti in Spagna con l’aggiunta di una Korac (Barcellona), poi ritorno in Italia, prima Pesaro e poi Milano.
Che Bologna sia nella sua storia lo si intuisce dal fatto che, quando Ruben Douglas scocca la tripla tricolore, lui è in maglia Olimpia. Uno così intelligente e preparato non può che diventare allenatore.
Ancora Milano, Treviso, ct della Serbia, Panathinaikos e Bayern Monaco. Fino a quando, nel 2018, ritrova Bologna. Solo che il vecchio cuore Fortitudo, viene chiamato al capezzale della Virtus, che ha appena esonerato Pino Sacripanti, ma soprattutto ha perso Alberto Bucci.
Sale sbarca in città nello stesso giorno in cui, a Palazzo d’Accursio, Bologna saluta Albertone. Vince la Champions League al primo colpo, Sale e comincia a gettare le basi per una Virtus costruita a sua immagine e somiglianza. Markovic è la pietra angolare, ma il gioiello è un altro, Milos Teodosic. Bella quella Virtus che avrebbe forse vinto lo scudetto 2020, se non ci fosse il Covid di mezzo.
Arriva Belinelli e pure un esonero clamoroso. Sollevazione popolare – Markovic il più duro –, la Virtus ci ripensa. Ma è chiaro che qualcosa si è spezzato. Anche se Sale costruisce un capolavoro. La Virtus incerta e alterna della stagione regolare, lascia spazio a una schiacciasassi. Nei playoff cancella prima Treviso poi Brindisi. Ma sono le due vittorie a Milano, al Forum, che hanno un che di clamoroso. Vince il titolo Djordjevic, non gli basta per rimanere a Bologna. Ma la gratitudine e l’amicizia dei tifosi della V nera – su tutti Gianluca Pagliuca – restano.
(64. continua)
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