Savic Un gigante sotto le due bandiere

Prima in Virtus, dove vince Coppa Italia, Coppa dei Campioni e scudetto. Poi in Fortitudo, architetto del tricolore del 2005

di ALESSANDRO GALLO
17 febbraio 2025
Prima in Virtus, dove vince Coppa Italia, Coppa dei Campioni e scudetto. Poi in Fortitudo, architetto del tricolore del 2005

Prima in Virtus, dove vince Coppa Italia, Coppa dei Campioni e scudetto. Poi in Fortitudo, architetto del tricolore del 2005

La leggenda narra che nello spogliatoio Virtus, stagione 1997/98, non volasse una mosca quando parlava Danilovic. Bastava la presenza di Sasha a mettere in soggezione e a tacere chiunque. In realtà, gratta gratta, c’era uno che non solo poteva permettersi di dialogare con Sasha. Ma anche contraddirlo. Senza paura. Quel giocatore era Zoran Savic. Fin quando resta sul parquet, in canotta e calzoncini, lo chiamano il Gigante Buono. Perché circumnavigare Zoran non è semplice. Zoran sorride, dà una mano a tutti. Ma per la sua squadra, perché gli avversari, qualsiasi essi siano, devono sperimentare una cura particolare.

Chi va in lunetta, dopo un fallo di Zoran, di solito ne tira due (di personali). Difficile che Zoran conceda il canestro più l’addizionale, perché in difesa, si fa sentire. Ha mano giganti e pesanti. Educate solo quando va al tiro.

Un vincente, Zoran, uno che mette in bacheca un trofeo dopo l’altro. Girando l’Europa, tra l’altro, senza restare nello stesso posto per più di due stagioni di fila. L’unica nazione nella quale Savic non si diverte, è la Turchia. Arriva a Istanbul nel 1998, subito dopo l’esperienza bianconera. Ma l’Efes non è ancora quella corazzata che siamo abituati a vedere ora,

Nato a Zenica, che sarebbe in Bosnia-Erzegovina, il 18 novembre 1966, Zoran prima gioca a Caplijna, poi nello Celik Zenica. Ma è a Spalato, con la maglia della Jugoplastika, che Zoran comincia a farsi valere. Arrivano due Coppe dei Campioni in serie, con alcuni personaggi…

In squadra c’è Dusko Ivanovic, oggi allenatore della Virtus. Dello stesso gruppo fanno parte Zan Tabak, che vedremo anche in Italia e pure Petar Naumoski. Ma i fuoriclasse sono Dino Radja e Toni Kukoc. Poi Barcellona, Paok (Coppa di Grecia e una Coppa Korac), Real Madrid, Virtus, Efes, ancora Barcellona (un campionato e una Coppa del Re) e Fortitudo. Prima che la Yugoslavia cada a pezzi, fa in tempo a vincere i Mondiali del 1990 in Argentina e gli Europei del 1991, a Roma. Poi, dopo che la Serbia viene riconosciuta a livello sportivo, arrivano l’argento olimpico ai Giochi di Atlanta, nel 1996 e l’oro agli Europei di Grecia (1995) e Spagna (1997).

In Virtus vince la Coppa Italia al primo colpo – in panchina c’è Roberto Brunamonti, in campo Chicco Ravaglia –, ma è nella stagione successiva che raggiunge l’apice. Anche se il feeling, con Ettore Messina, non decolla subito. In quella squadra ci sono tanti lunghi, John Amaechi, Augusto Binelli, Alessandro Frosini e Rascio Nesterovic.

Sono talmente tanti che, in una delle prime giornate, contro Varese, Messina lo spedisce in tribuna. L’inizio della fine? Macché, Zoran è troppo intelligente. I compagni lo chiamano ‘Big Head’, perché oltre alle dimensioni ha un cervello davvero fino. In palestra, durante gli allenamenti all’Arcoveggio, è uno spettacolo. Prima di cominciare dà vita a una serie di uno contro uno con Claudio Crippa e Hugo Sconochini. Sa stare al suo posto, Zoran, sa usare l’arma della goliardia. Ne fa le spese il giovane Ravaglia, che ogni tanto finisce nella gabbia dei palloni.

Fuoriclasse, Zoran per il quale scegliamo due momenti. La Coppa dei Campioni a Barcellona, dove oltre al trofeo di squadra porta a casa il titolo di mvp. I dubbi di Messina erano legati all’utilizzo di Zoran come ala forte. Per farlo deve tirare da tre – così almeno recita il manuale del basket moderno – e Zoran si adegua. Tanto che la finale con l’Aek si decide proprio con una sua tripla.

E la finale scudetto? Gara-quattro, si gioca in casa Fortitudo. Wilkins sbaglia la tripla, Abbio no: la Virtus vince in volata e riporta in parità la serie. I compagni scappano negli spogliatoi perché sentono il peso del tifo avversario. Tutti di corsa verso lo spogliatoio tranne uno. Tranne Zoran, che prima sbatte rabbiosamente il pallone per terra, poi esulta verso lo spicchio bianconero, incurante della rabbia avversaria. Anzi, quasi sfidandola.

Ma è destino che Zoran e la Fortitudo si ritrovino. Questa volta non da rivali, ma da amici. L’accoglienza non è delle più calorose: ‘Savic un dipendente’, lo striscione della Fossa. Che non lo contesta, ma non è convinta dell’ingaggio di uno che ha giocato e vinto con la Virtus e che, in quello passato alla storia come neuroderby, ha maltrattato, sportivamente parlando, il povero Gregor Fucka. Il dipendente (inizialmente ignorato) Savic, diventa a fine stagione uno dei beniamini. Così bravo e intelligente, Zoran, da appendere le scarpette al chiodo e diventare un dirigente di spessore. E’ lui che getta le basi per il secondo scudetto dell’Aquila. E’ lui che, nell’estate 2003, dopo la scomparsa della Virtus (radiata, ma non fallita), azzecca le mosse giuste. Prima Matjaz Smodis, poi Marco Belinelli, per il quale c’è la fila sulla porta di casa (Treviso, Virtus Roma, Siena). Bravissimo a depistare la stampa. "Vujanic? Andrà al Barcellona", assicurava. Pur avendo in tasca il contratto firmato da Milos...

Vince come dirigente, Zoran, che poi torna in Spagna. E adesso? E’ il general manager del Partizan. Dicono che sia difficile, forse impossibile, resistere, a Belgrado, alle sfuriate di Zelimir Obradovic. C’è solo uno che gli può tenere testa. Il suo nome? Zoran Savic. Perché i due sono amici e si stimano. Perché Obradovic riconosce l’intelligenza di Zoran.

Lo stesso Savic dice che a fine stagione potrebbe anche andare in pensione, per dedicarsi di più alla famiglia. Ma è difficile credergli. Anche perché a Belgrado, con budget limitati, costruisce squadre intelligenti e da battaglia. Se così non fosse, come andare d’accordo con Obradovic?

(58. continua)

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