Bologna, Fenucci alza il tiro. "All’altezza delle big, bravo Italiano. Ma adesso non dobbiamo fermarci”
L’ad traccia un bilancio: "Dalla Champions 40 milioni di ricavi ed è cresciuto il valore dei nostri giocatori". Sul nuovo stadio: "Senza una partnership tra pubblico e privato diventa difficile sostenere una spesa così"

Da sin.: Marco Di Vaio, Claudio Fenucci, Vincenzo Italiano, Joey Saputo e Giovanni Sartori, nel giorno della presentazione del nuovo tecnico (Schicchi)
Bologna, 7 febbraio 2025 – "Stiamo facendo bene e oggi dopo un lungo percorso siamo arrivati a competere con le big. Ma adesso non bisogna fermarsi". Come Claudio Fenucci sa bene, chi si ferma è perduto. Anche se lui all’inizio della sua avventura nel calcio si fermò per 15 anni in Salento, come amministratore delegato del Lecce di proprietà della famiglia Semeraro, e domenica allo Stadio di via del Mare chiuderà simbolicamente il cerchio. Era l’ottobre del 96’ quando alle soglie del suo trentaseiesimo compleanno Fenucci faceva il salto dalla Banca del Salento al calcio: tra un anno l’ad rossoblù potrà soffiare sulle trenta candeline nel mondo del pallone.
A Casteldebole invece è sbarcato nel 2014, dopo l’esperienza alla Roma, per fare da timoniere al Bologna di Saputo. "Con Saputo siamo partiti dalla serie B e siamo arrivati in Champions", ricordava ieri l’ad rossoblù ai microfoni di Radio Tv Serie A, fotografando il lungo viaggio che ha portato il Bologna dal Tombolato ad Anfield, o più semplicemente a sbancare regolarmente il Gewiss Stadium, come sa bene l’Atalanta di Gasperini. I Semeraro? "Bellissima esperienza al servizio di una famiglia innamorata del calcio", è il suo personale ricordo. Saputo invece "rappresenta la sintesi tra l’approccio di un presidente italiano e la mentalità di chi, avendo una formazione americana, è attento alle dinamiche dello sport business".
La Champions, annota Fenucci, "sui nostri ricavi ha avuto un impatto di 40 milioni e anche questo a fine anno ci consentirà di chiudere il bilancio con un utile". Non solo: "La partecipazione a una competizione così prestigiosa è un plusvalore che accresce la valutazione economica dei cartellini dei calciatori e poiché qualche volta può rendersi necessario cedere qualche nostro giocatore dovremo essere bravi a trovare un punto di equilibrio tra crescita sportiva e valorizzazione della rosa".
Guai però pensare al tanto sbandierato modello Atalanta. La posizione di Fenucci in materia ha quasi fatto giurisprudenza: "L’Atalanta rappresenta un modello unico e non replicabile, perché nasce dalla valorizzazione di un settore giovanile coltivato negli anni e che avuto ritorni enormi dal mercato quando le condizioni del mercato erano diverse da oggi". Conclusione: "Non c’è un modello Atalanta così come non c’è un modello Bologna". Però c’è Sartori ("sapevo poteva essere la persona giusta") e c’è un vivaio che in era Saputo non è cresciuto di pari passo con la prima squadra. "I risultati fin qui non sono stati esaltanti – ammette –. Abbiamo aumentato il budget, ma i ritorni non saranno immediati". Tornano invece i conti di Vincenzo Italiano: "Ha trovato l’alchimia". Difficile invece che, senza una mano da Roma, i bolognesi possano trovare un ‘nuovo’ Dall’Ara. "E’ un investimento che per l’azionista oggi non presenta margini di redditività, Per questo sostengo che in Italia per avere stadi all’altezza servono nuovi strumenti finanziari e una partnership tra pubblico e privato".
Continua a leggere tutte le notizie di sport su