Mandorlini, il doppio ex della panchina: "Il calcio all’inglese di Italiano può ridare l’Europa al Bologna”

"In Veneto il mio periodo migliore da allenatore: cinque stagioni e la salita dalla C1 alla A lavorando con ragazzi eccezionali del calibro di Toni, Jorginho, Maietta e Cacia. Persi mio padre durante l’esperienza a Casteldebole, ma era una piazza importante”

di MASSIMO VITALI
6 marzo 2025
"In Veneto il mio periodo migliore da allenatore: cinque stagioni e la salita dalla C1 alla A lavorando con ragazzi eccezionali del calibro di Toni, Jorginho, Maietta e Cacia. Persi mio padre durante l’esperienza a Casteldebole, ma era una piazza importante". .

"In Veneto il mio periodo migliore da allenatore: cinque stagioni e la salita dalla C1 alla A lavorando con ragazzi eccezionali del calibro di Toni, Jorginho, Maietta e Cacia. Persi mio padre durante l’esperienza a Casteldebole, ma era una piazza importante". .

Re di Verona: "I miei anni migliori in panchina". Attore non protagonista a Bologna: "Quattro mesi in cui le cose non sono andate come avrei voluto". Nel radar del ravennate Andrea Mandorlini Bologna però c’è sempre. Anche ieri, quando l’ex guardiano della difesa dell’Inter dei record di Trapattoni (stagione 1998-99) ha indossato i panni di nonno al volante per accompagnare il nipote Andrea, quattordicenne centrocampista del Ravenna, a giocare una partita nell’hinterland bolognese.

Mandorlini, il Verona-Bologna di domenica le spalanca il cassetto dei ricordi. "Nei cinque anni di Verona ho dato il meglio da allenatore. E’ una piazza che mi ha voluto bene fin da subito e il rapporto è cresciuto insieme ai risultati. A Verona ho conquistato una doppia promozione dalla C1 alla A e ho avuto la fortuna di allenare il miglior attaccante italiano di quel periodo, Luca Toni, più un certo Jorginho insieme a tanti altri, tra cui Maietta e Cacia".

Il Bologna, già: per lei una parentesi breve tra un Ulivieri e l’altro. "Periodo bruttissimo sul piano personale, perché proprio in quei mesi se ne andò mio padre. Ricordo i rinforzi di gennaio, Marazzina e Zauli, e anche qualche partita che ci girò storta. Dopo la sconfitta di Vicenza la società volle richiamare Ulivieri e la mia avventura finì. Ancora oggi se ci penso mi dispiace molto, perché avrei voluto fare meglio in una piazza così importante".

Il successo oggi arride a Italiano. "Mi piace il suo calcio. Anche perchè sono un ammiratore del calcio inglese, dove l’intensità, la velocità, la voglia di andare a prendere gli avversari alti e le rapide verticalizzazioni sono la regola. A volte in Italia facciamo un calcio di possesso troppo lento".

E lei si annoia. "Io mi annoio se non sento l’odore dello spogliatoio e del campo: la mia vita è sempre stata lì, fin da quando tiravo i primi calci. Adesso, da allenatore, spero di poter rientrare in fretta nel giro".

Ultimo valzer a Cluj, in Romania. "Sono stato su quella panchina fino allo scorso gennaio. Ma avevano l’ambizione di arrivare primi e così, nonostante un buon percorso, al mio posto hanno chiamato Mutu, che però ha solo peggiorato le cose. Stagione tormentata: allontanato pure Mutu è stato richiamato Dan Petrescu, che là è un mito".

Anche lei da quelle parti non scherza: nel 2010 col Cluj ha fatto il Triplete, scudetto, Coppa di Romania e Supercoppa di Romania. "Esperienza bellissima in una città giovane e viva, piena di universitari, che vive il calcio con una passione incredibile. Nonostante l’esonero sono rimasto in ottimi rapporti col presidente e oggi vado in giro a vedere calciatori per loro".

Il Bologna di Italiano in Europa ci torna? "Glielo auguro di cuore: per quello che società e squadra stanno facendo sul campo sarebbe il giusto premio. Perché giustamente si parla tanto di Italiano, ma nel calcio di oggi la qualità dei giocatori continua a fare la differenza. E il Bologna ha il miglior direttore sportivo in circolazione: Sartori. Da allenatore non ho mai avuto la fortuna di avere un diesse così".

A Bologna in quel 2006 il diesse era Zaccarelli. "Che avevo avuto come compagno di squadra al Torino, quando da ragazzino debuttai in A. Graziani, Pulici, Zaccarelli, Pecci: per me fu subito una grande scuola".

La scuola dei difensori alla Mandorlini esiste ancora? "Il calcio è cambiato tanto da allora e oggi il difensore deve saper fare tutto, difendere e costruire. Certo in quegli anni io ho avuto la fortuna di sfidare gli attaccanti più forti del mondo".

La passione per il calcio scorre nelle vene dei Mandorlini. "Ho due figli, Davide e Matteo, e tutti e due sono tesserati del Ravenna. Come loro Andrea, il figlio di Davide. Davide, il più grande, fa il diesse. Matteo è un centrocampista che a trentasei anni gioca ancora. E a me fa solo piacere, perché con l’arrivo della famiglia Cipriani il Ravenna ha messo in piedi un progetto serio e ambizioso. Oggi fa la D, ma l’obiettivo è arrivare in alto. E a me ripassano davanti agli occhi i mie anni da vice allenatore del Ravenna, dal ‘94 al ‘98...".

Chi lo vince lo scudetto? "Sono un po’ di parte e dico Inter. Ma questo Napoli può contenderglielo fino in fondo".

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