Coppitelli elimina Cannavaro in Croazia: "Ho scelto l’estero, dà più opportunità"
Exploit del tecnico romano dell’Osijek in Coppa, eliminata la Dinamo campione in carica guidata da Fabio. "Qui stiamo entrambi bene"

Da sinistra Fabio Cannavaro (51 anni) e Federico Coppitelli (40) i due mister italiani stanno allenando in Croazia rispettivamente la Dinamo Zagabria e lo Osijek (Foto Facebook NK Osijek)
È stata la sera degli assalti ai palazzi dell’aristocrazia del calcio, quella di mercoledì. Coppe e rivoluzione: mentre a Torino l’Empoli defenestrava dalla Coppa Italia la Juventus campione uscente, in Croazia, sempre ai quarti e sempre in casa della squadra campione, la Dinamo Zagabria, l’impresa è riuscita all’Osijek. Che ha un allenatore italiano, Federico Coppitelli, e ne ha eliminato un altro, un ex bianconero, Fabio Cannavaro. 0-1 il punteggio, ma oltre il risultato c’è una storia da raccontare. Quella appunto di Coppitelli, romano, 40 anni, campione d’Italia con la Primavera del Lecce nel 2023, una lunga esperienza nei settori giovanili tra Roma, Frosinone e Torino, una veloce parentesi in C all’Imolese.
Coppitelli, com’è stato arrivare in semifinale superando la Dinamo di Cannavaro? "Al Maksimir avevamo vinto anche in campionato, è sempre un’emozione. Con Fabio alla fine ci siamo confrontati sulle nostre esperienze qui, dove la pressione è elevata, ma che ci stanno dando molto".
Un passo indietro: come è finito all’Osijek? "La proposta è arrivata in estate da José Boto, che oggi è il ds del Flamengo e già aveva lavorato allo Shakhtar con Fonseca e portato in Ucraina De Zerbi. Una proposta inattesa. Avevo possibilità in Italia, ma era un’occasione".
Che ambiente ha trovato? "Un Paese molto orgoglioso che tende a proteggere il calcio nazionale; ciò significa che se vieni da fuori devi dimostrare di valere la fiducia. Con il mio staff abbiamo fatto quadrato, l’inizio è stato complesso ma è una bellissima sfida".
Dicono: vabbè, è il campionato croato... "Basta vedere il centro di allenamento dell’Osijek per capire come, spesso, ci si facciano idee sbagliate: strutture come questa le hanno pochi club in Italia. Poi non tutte le realtà sono uguali, ma giocare al Maksimir o a Spalato non è cosa da poco. E abbiamo potuto affrontare, in Conference, trasferte a Tallin e Baku, in strutture di livello. Il calcio, fuori dall’Italia, si è molto evoluto".
Con la lingua? "Abbiamo scelto l’inglese. Lo usavamo quotidianamente anche nella Primavera del Lecce, considerando la provenienza di diversi giocatori. Lo parlo molto bene; a me piace scegliere con cura le parole, ma ancora non riesco a farlo come chi è madrelingua".
Lei ha iniziato ad allenare a vent’anni, ha girato l’Italia da nord a sud e conosce i nostri settori giovanili. Come si lavora sui giovani all’estero? "Tutto dipende dalle opportunità che a loro si concedono. In Croazia amano i calciatori forti tecnicamente, qui retrocede solo una squadra e anche per questo ai giovani si dà spazio, creando un circolo virtuoso. Uno dei miei attaccanti, Anton Matkovic, è del 2006 e ha già una cinquantina di presenze in prima squadra. Il gap di esperienza rispetto ai pari età italiani è notevole".
Meglio l’estero dell’Italia? "Tanti credono che andare all’estero sia riduttivo, si concepisce l’Italia come l’unico luogo possibile per allenare. Io non la penso così. Questa annata, dal punto di vista culturale e professionale, mi ha cambiato, mi sta facendo crescere tantissimo e non sento la necessità di rientrare. Non ora".
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