Un portiere ’gelido’? Macchè. Ha un cuore ’caldo’. Emozione Christensen. Il guascone danese
Quando arrivò a Firenze l’estate scorsa sembrò uno dei tanti atleti danesi gelidi, apparen...
Quando arrivò a Firenze l’estate scorsa sembrò uno dei tanti atleti danesi gelidi, apparentemente inscalfibili da ogni emozione, come nel recente passato erano stati Jorgensen e Brian Laudrup, Norgaard e Per Kroldrup. Poi la svolta, avvenuta a sorpresa al termine della lotteria dei rigori col Parma in Coppa Italia. Quando, al gol decisivo di Beltran, si è lanciato con una corsa folle e gioiosa verso la Fiesole agitando le mani attorno alla testa, tutti abbiamo infatti capito che dietro quella maschera apparentemente altera da Turandot del Calcio, si nascondeva altro. Si nascondeva un cuore caldo e un animo folle da portiere antico. Sì, Oliver Christensen, capello biondo d’ordinanza e 190 centimetri di imponenza sportiva, sembra appartenere a quella schiera di calciatori che diventano portieri per fatto naturale, spinti da un istinto un po’ felino.
Dice Fabien Barthez che la vita è fatta di piccole solitudini ma quella del portiere di più. E ha ragione. Perché il portiere non è un ruolo ma un mestiere che ti porta ad esercitare la tua professione in solitaria, distante dagli altri. I portieri, eroi passivi del calcio (stavolta le definizione è di Gianni Brera) gente che non ha nascondiglio reclutata fra i lunghi, gli agili e i più dotati di coraggio. Per questo, o la passione naturale l’hai dentro fin da subito, o col piffero che da ragazzo puoi accettare un ruolo del genere. In questo Christensen appare più eroe passivo di tutti. Perché un conto da ragazzo è scegliere di stare fermo fra i pali nei campetti alle latitudini mediterranee, altro è farlo nel gelo siderale di Kerteminde, sull’isola di Fiona, dove Oliver è nato 23 anni fa. Perché lì, nei lunghi minuti in cui la palla è nella metà campo avversaria, il gelo ti avvolge come un tabarro e si ha eccome il tempo di pensare. O si è convinti o si molla. E lui convinto sembra esserlo da sempre. Da quando, a 19 anni, esordisce nella massima serie danese con la maglia dell’Odense, quindi il passaggio all’Herta Berlino dove incrocia un ex viola di una certa fama quale Stevan Jovetic, e forse c’è anche il sussurro del montenegrino se in estate la Fiorentina e Christensen a sorpresa si scelgono.
Fin qui le sue doti, ovvero quelle di portiere provvisto di buona esplosività fra i pali, a Firenze non si erano viste granché, anzi. Finché la gara col Parma non ne ha decretato il parziale riscatto. E’ vero, dopo buoni interventi, alla fine di rigori non ne ha parati neppure uno. Lo stesso, si è avuto l’idea che quel suo presentarsi fra i pali con aria guascona e quasi di sfida, abbia innervosito Man e Camara, inducendoli all’errore. Lui di certo l’ha vista così, correndo poi sotto la curva con le mani alle tempie a dire idealmente: "L’ho vinta io con la psicologia". Magari non è così, magari la sua è solo follia. Ma cosa sarebbe un portiere senza follia? Christensen, un’ipotesi di ultimo uomo antica che, nel calcio senz’anima di oggi, rappresenta comunque una ventata buona di calore e di appartenenza.
Continua a leggere tutte le notizie di sport su