InterCity ultima stazione: sfida Lautaro-Haaland sui binari della leggenda

Tredici anni dopo Mou i nerazzurri sognano l’impresa contro Guardiola

di MATTIA TODISCO -
10 giugno 2023
InterCity ultima stazione:  sfida Lautaro-Haaland  sui binari della leggenda

InterCity ultima stazione: sfida Lautaro-Haaland sui binari della leggenda

di Mattia Todisco

La parola d’ordine è “Insieme”. Come uno slogan, un mantra da utilizzare per scacciare le tensioni. Simone Inzaghi lo ha usato sempre negli ultimi mesi, prima della partite importanti. Anche solo per un rito propiziatorio, era normale che ne facesse menzione nel giorno della vigilia, all’incrocio con la sfida più importante della carriera. Lo è per lui, lo è per tantissimi all’Inter. Giusto ad uno come Martinez, che il club sfoggia in conferenza stampa nella pancia dell’Ataturk assieme al giocatore di casa Hakan Calhanoglu e al calmo ma risoluto Darmian, il percorso ha già riservato di recente una partita più importante, la finale mondiale con l’Argentina. Conquistato il globo, gli manca l’Europa, un alloro assente nella bacheca di tutti gli interisti tesserati a Istanbul. Di più: nessuno ha mai giocato la finale di Champions League. "Ma c’è chi ha disputato quella del Mondiale – dice Inzaghi facendo riferimento proprio a Lautaro – e chi ha vinto l’Europeo con l’Italia. In più abbiamo affrontato delle altre finali in questi anni".

È un appiglio a cui far ricorso, pensando a ciò che attende la squadra questa sera. Servirà tutto. "Gambe, testa e cuore", dice ancora Inzaghi confortato dai suoi. Servirà il calore del popolo nerazzurro riversatosi già nei giorni scorsi a Istanbul e chissà che i ventimila neutrali a cui l’Uefa ha riservato parte dell’Ataturk non si schierino apertamente con l’idolo di casa. Più Calhanoglu, che non Gundogan, che come ha ricordato l’interista cogliendo l’occasione è un turco-tedesco, gioca per la Germania. Come a dire: se dovete scegliere, state dalla mia. Il gioco delle parti e delle parole. Un rimpallo che dal versante opposto vede Guardiola e i suoi interrogati dai media inglesi come se tutto fosse scritto, come se non ci fosse esito diverso nelle possibilità. Ruben Dias si scrolla di dosso il peso con un laconico "non ci sono favoriti in finale". Guardiola filosofeggia, ostenta tranquillità. Ride e scherza. "Il segreto del mio successo? Ho allenato Messi e oggi alleno Haaland", la risposta banale, con un fondo di verità.

Non ci saranno assenti e anche questa è una nota di cui tener conto. Dissipati i dubbi su Walker (da un lato), su Correa e Mkhitaryan (dall’altro), con la differenza che i due interisti dovrebbero cominciare in panchina. Fosse stato al meglio, l’armeno avrebbe probabilmente giocato dal 1’. Due allenamenti in gruppo dopo una ventina di giorni fermo non possono però bastare per considerarsi al top. Meglio tenerlo lì, in caso di necessità, puntando su un redivivo Brozovic con Barella e Calhanoglu. La formazione è fatta. E non prevede nemmeno Lukaku. Perché con Dzeko si è andati lisci finora e con il bosniaco si andrà a vincere o perdere. In più, la gara può durare 90’ o 120’. C’è l’ipotesi dei rigori. Il belga li tira, solitamente li segna anche. Il bosniaco no. Dettagli. Nella competizione dei dettagli (Mourinho insegna). Guai a sottovalutarne uno. La finale di Champions, per un calciatore, è un treno che non sempre ripassa.

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