La 10 prestata da Platini e lo scatto in azienda. Vignola, tutta l’importanza del talento
L’ex fantasista della Juve ha saputo reinventarsi imprenditore nel settore dei ricambi per auto e del vetro con successo

Beniamino ‘Franco’ Vignola, 65 anni. A destra è con Paolo Rossi: in bianconero ha vinto uno scudetto, una Coppa delle Coppe e una Coppa dei Campioni
Non deve essere stato facile per Beniamino Vignola, come centrocampista con l’inventiva nel Dna, farsi spazio in una serie A da età dell’oro con Maradona, Zico, Platini, Antognoni, Beccalossi: giusto per citarne solo alcuni. Ma pure il suo talento era cristallino, e... nel vetro ha poi trovato la materia giusta per costruirsi una seconda carriera vincente, da imprenditore.
Vignola, è vero che arrivò alla Juve su suggerimento proprio di Platini?
"In effetti Michel mi aveva ’sponsorizzato’ in una intervista, fece il mio nome. La tenne presente Boniperti: nell’estate del 1983 stavo andando dall’Avellino alla Fiorentina, ma poi mi chiamò la Juventus".
E a Torino vinse subito: scudetto e Coppa delle Coppe, con anche un gol al Porto in finale a Basilea.
"Era una grande squadra, del resto quello era uno spogliatoio di campioni del mondo: Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli, Rossi. E Zoff, appena ritiratosi, era rimasto nello staff e trasmetteva tutta la sua enorme esperienza. Mi sorprendeva, il fatto di essere in mezzo a tanti campioni. Era un gruppo sempre arrabbiato, dopo la finale di Coppa dei Campioni persa ad Atene. E per questo vinceva".
Un bel salto per lei, dopo la sua esperienza ad Avellino.
"Lì ho potuto mettermi in mostra in A, è stata la chiave di volta per la mia carriera. Ci fu anche il terremoto a unire ancora di più il gruppo, ci sentivamo in dovere di dare tutto per una città che soffriva tanto. Come me, si misero in mostra Tacconi, Favero, Juary, Criscimanni".
In bianconero, però, era la riseva del grande numero 10 francese.
"Platini non si ammalava mai... Ma ogni tanto succedeva e quel numero diventava mio (all’epoca non erano legati all’atleta, ndr). Però mi feci spazio comunque, con la ’7’. In finale a Basilea giocammo insieme. Al museo dello Stadium rivedo sempre con orgoglio quella maglia e il filmato della partita. Quel trofeo fu preparatorio alla cavalcata in Coppa dei Campioni della stagione successiva".
All’Heysel entrò nei minuti finali.
"La tragedia enorme di quella sera col suo peso ha reso praticamente nullo il valore sportivo di quello che realizzammo in quella stagione".
La sua carriera poi non durò molto oltre.
"Tornai alla Juve dopo l’anno a Verona, ma era già finito il grande ciclo. Poi l’Empoli e il Mantova. Si prospettava però un futuro fuori dal calcio per me".
Come ha saputo reinventarsi?
"Mio suocero aveva una importante attività legata ai ricambi in vetro per auto. Sono entrato in quel mondo in punta di piedi. Del resto, quando un calciatore smette deve allinearsi a chi, alla stessa età, ha iniziato a lavorare negli altri settori. Per me, in ogni caso, non è stata una scelta forzata. Ci tenevo anche a tornare stabilmente a Verona. Sono molto legato alla mia terra. Nella mia ’seconda vita’ ho trovato grande soddisfazione, posso dire anche completezza, guidando con mio cognato la ’Vetrauto’, legata ai ricambi, e la ’VetroCar’, che opera nella sostituzione dei cristalli. Con ’Vetrolife’, con mio genero, ora siamo attivi anche negli stabili industriali".
Che differenze ha trovato fra la vita nel calcio e quella in azienda?
"E’ molto più difficile la seconda, meno ovattata. Tante le variabili di cui tenere conto, anche imprevedibili, come le crisi finanziarie, o il Covid. E c’è poi questo grande senso di responsabilità che ti accompagna. Un’impresa è fatta di tante persone e coinvolge quindi altrettante famiglie. Noi siamo arrivati a duecento dipendenti. Da calciatore, pensavo sempre a come poter preparare la partita nella migliore maniera possibile, a fare gol. Non c’era quasi altro".
Come si possono dribblare le difficoltà nel lavoro in impresa?
"Serve determinazione, certamente, e quella me la sono portata dietro dagli anni in campo. Ma poi, occorre evitare di fare il passo più lungo della gamba, è fondamentale".
Il calcio le manca?
"Continuo a seguirlo, senz’altro ho un po’ nostalgia di quegli anni. E’ uno sport che è cambiato completamente: in campo per la fisicità, e fuori per le logiche economiche che dominano. Ma poi, sfido chiunque ad accusare i giocatori di non legarsi alle squadre, con le cifre che girano...".
Come giudica questa Juve?
"Motta è un allenatore giovane e di qualità, era giusto forse che il club cambiasse il tecnico. Anche se va riconosciuto ad Allegri un valore enorme negli anni passati, in cui tutto nella società era strutturalmente allestito per vincere. Spezzo una lancia in favore di Giuntoli: non è facile far quadrare i conti dovendo tornare al top. Ma il tecnico conta fino a un certo punto: servono più di tutto i giocatori più forti".
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