Napoli, contro il Genoa va via il jolly. Tutti colpevoli: neanche Conte stavolta convince

Gli azzurri, nonostante due vantaggi, non riescono a battere i rossoblù e ora sono spalle al muro in vista di Parma. La consolazione è essere ancora padroni del proprio destino per evitare una beffa atroce

di GIUSY ANNA MARIA D'ALESSIO
12 maggio 2025
Napoli-Genoa, la delusione di Raspadori (Ansa)

Napoli-Genoa, la delusione di Raspadori (Ansa)

Napoli, 12 maggio 2025 - Tanto tuonò che piovve: nella parabola tra ottimismo motivato dall'eccellente ruolino di marcia recente della squadra e trionfalismo eccessivo e prematuro si è insinuato il primo vero colpo di scena nell'ambito della lotta scudetto da quando a militare sul primo gradino del podio è tornato il Napoli. Al Maradona si presenta un Genoa con diverse assenze ma comunque motivato a non sfigurare contro la capolista. E così sarà, nonostante il vantaggio molto rapido a firma di Romelu Lukaku su suggerimento di Scott McTominay, che poi si ripeterà nel corso di una serata che l'ha visto passare da uomo gol a uomo assist con il medesimo ottimo profitto (almeno a livello personale): ne approfitterà Giacomo Raspadori, un altro che quando c'è da fare la voce grossa a ridosso della linea del traguardo non si tira mai indietro, senza incappare nel proverbiale braccino del tennista. Quello che invece, forse, ha per una sera sgretolato le certezze della miglior difesa del campionato, che cade prima con lo sfortunato autogol di Alex Meret su incornata di Honest Ahanor, curiosamente nato ad Aversa, in Campania, e poi sull'altro colpo di testa perentorio di Johan Vasquez, per un 2-2 finale che riapre uno spiraglio per l'Inter: sulla reale grandezza di questa fessura, dipende (ancora) solo ed esclusivamente dagli azzurri.  

La classifica e il calendario di Napoli e Inter

  Molto, se non tutto, probabilmente verrà deciso dal prossimo turno, il penultimo del torneo. I partenopei, ora a 78 punti, faranno visita a un Parma non ancora salvo e, in generale, spesso insidioso contro le squadre di alta caratura: i nerazzurri, invece a 77 punti, ospiteranno una Lazio in piena bagarre Europa, con vista sulla Champions League ma anche, classifica cortissima in quella zona alla mano, con lo spettro di restare fuori da tutto. Insomma, nessuna delle due rivali, almeno in teoria, dovrebbe avere vita facile prima di chiudere il proprio campionato rispettivamente in casa contro il Cagliari e a domicilio di un Como reduce da 6 vittorie di fila. Dunque, guardando la questione dalla prospettiva del Napoli, forse l'ultima trappola rimasta all'orizzonte è davvero solo il Tardini, ma in fondo alla vigilia anche il match interno contro un Genoa salvo, sazio e in teoria senza più ambizioni appariva (erroneamente) poco più di una formalità. Invece, tra spensieratezza e forse qualche scoria dell'amarezza lasciata dalla retrocessione di 3 anni fa certificata proprio a Fuorigrotta nel giorno in cui la città salutava Lorenzo Insigne, i rossoblù se la giocano, com'è giusto che sia ma forse non per un calcio italiano abituato troppo spesso a battezzare con largo anticipo le partite che coinvolgono formazioni all'apparenza senza più velleità. Tra retropensieri 'balneari', suggestioni extra campo per quel gemellaggio tanto lungo quanto da qualche anno traballante, eccessiva fiducia nei propri mezzi e gambe che cominciano a tremare a ridosso della resa dei conti, invece il Napoli inciampa sul Genoa, giocandosi quello che da molti (e dallo stesso Antonio Conte) è stato definito l'unico bonus a disposizione prima di quello che sarebbe un autentico harakiri. Certo, parlando di suicidi sportivi, il primo forse era stato proprio quello dell'Inter, che nelle ultime settimane nel testa a testa con gli azzurri ha dilapidato ben 6 punti, prima della riscossa parziale e probabilmente insperata di ieri grazie alla vittoria di Torino. Un mezzo sorriso per Simone Inzaghi e i suoi ragazzi, comunque ancora appesi ai fatti di casa Napoli per poter sperare in quello che sarebbe un colpo di scena clamoroso.

Le critiche a Conte e la sua difesa

In una piazza spesso senza vie di mezzo, dai pensieri sul bus scoperto da far sfilare sull'iconico lungomare si è passati in poche ore alla paura di gettare alle ortiche un campionato, comunque vadano le cose, andato oltre ogni più rosea aspettativa. Cambiano tutte le prospettive e cambia anche la dialettica di Conte, prima pompiere nel momento dell'euforia totale e poi motivatore ora che il vento ha improvvisamente mutato la sua direzione. Il primo step in questi casi è provare a ridimensionare quanto accaduto sul prato del Maradona, a cominciare dalla prestazione del Genoa. "Due tiri e due gol", è stato il verdetto del tecnico salentino, che nel computo ha dimenticato la traversa di Andrea Pinamonti, l'ennesimo legno amico nella stagione degli azzurri. Stavolta non basta neanche il montante a proteggere un vantaggio vanificato due volte da una squadra reduce da 3 sconfitte di fila. Qualcosa di vero nelle parole di Conte però c'è perché, parlando dei soli tiri nello specchio, il computo recita 11 a 2 per il Napoli, con lo spettro che si allarga a 22 a 8 per le conclusioni totali. Il primo peccato capitale degli azzurri è stato mancare il colpo del ko, regalandosi così (si fa per dire) l'ennesimo finale in sofferenza: contro Monza e Lecce, per restare alla recente attualità, le cose erano andate bene, mentre ieri no. Solo sfortuna e casualità o qualcosa di più? Proprio Conte stavolta, a dispetto della difesa partita d'ufficio, non è stato esente da critiche e, forse, da responsabilità. Dalla gestione di Stanislav Lobotka, gettato nella mischia con una caviglia malconcia e poi costretto subito ad alzare bandiera bianca, sciupando uno slot per i cambi, all'ingresso infelice (a dir poco) di Philip Billing, inserito per dare copertura sulle palle alte ma finito poi a diventare quasi un ostacolo per i suoi difensori, oltre al timing di alcune mosse reputate tardive: nella serata no del Napoli non si salva nessuno. Neanche Conte. Di buono c'è però - e non è poco - che gli azzurri, seppur tramortiti, sono ancora padroni del proprio destino. Il jolly è stato giocato, e neanche nel match più temuto e nell'occasione più propizia, ma non è (ancora?) l'ora dei disfattismi: così come, evidentemente, in precedenza non era (ancora?) quella dei trionfalismi, tra l'altro una curiosa contraddizione per una piazza conosciuta ai più per la sua proverbiale scaramanzia.

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