Pierini, il banco dei sogni. "Non è più il mio calcio. Meglio servire al bar»
L’ex Fiorentina e Udinese ora gestisce un locale sul lungomare di Viareggio "Rimpianti? Saltai il mondiale per un infortunio, ora voglio vedere mio figlio in A".

L’ex Fiorentina e Udinese ora gestisce un locale sul lungomare di Viareggio "Rimpianti? Saltai il mondiale per un infortunio, ora voglio vedere mio figlio in A".
Prima due cliniche dentistiche in franchising in Spagna dove aveva finito di giocare, poi un frequentatissimo locale di ristorazione e intrattenimento nella sua Viareggio, nella iconica passeggiata a mare. La seconda vita di Alessandro Pierini è ricca di soddisfazioni come la prima da calciatore: oltre 250 presenze in serie A e B (Udinese, Fiorentina, Reggina, Parma, Fidelis Andria), più di 150 gettoni in Spagna (Santander, Cordoba) tra Liga e Segunda division. E una maglia azzurra contro l’Argentina.
Alessandro, poi la scelta di fare altre cose. Una decisione comunque vincente. "Un po’ di rammarico c’è, per un paio di ragioni. Nel 2009 ho deciso di lasciare il calcio giocato a Cordoba dopo una stagione con 40 presenze e 6 gol. Stavo bene, potevo continuare ma il presidente del club iberico Rafael Campanero mi offrì il posto di vice del tecnico Lucas Alcaraz. L’idea di diventare allenatore mi stuzzicava, ho superato gli esami dei tre livelli di patentino in Spagna. Poi lì tante cose sono cambiate, sia per la società sia per me a livello familiare. E quindi decisi di ritornare in Italia".
Ma anche nel nostro Paese si vedeva su una panchina… "Mi ha chiamato una squadra dilettantistica versiliese, il Camaiore, per juniores e prima squadra e non abbiamo fatto male. Poi il Viareggio sempre nei Dilettanti, quindi ho fatto da vice a Calori a Trapani in B, ho allenato la Primavera dello Spezia. Ma c’era il lavoro a Viareggio da seguire e nonostante che la voglia di pallone sia sempre tanta penso di aver fatto la scelta giusta".
Dall’affrontare gli avversari da arcigno difensore centrale a soddisfare le esigenze dei clienti. "Il settore l’ho frequentato sin da ragazzino perché facevo il cameriere stagionale. Poi mia madre è diventata titolare del Fanatiko, un locale popolarissimo a Viareggio, dove si mangia, si balla e si lasciano a casa i pensieri. C’è da lavorare tanto ma mi diverto nel rapporto interpersonale. Sono titolare di una srl unipersonale, i ritmi sono molto serrati ma sono contento perché vedo che la gente da noi si trova bene e questo mi gratifica".
Il calcio quindi è solo un ricordo lontano ? "Questo no, perché lo seguo ma non è più il mio, il nostro calcio degli anni Novanta e primi Duemila. È diventato un business, non c’è più quella passione vera che avevamo noi e i tifosi. Comunque lo seguo perché mio figlio Nicholas gioca in B a Sassuolo dopo aver vestito le maglie di Spezia, Cosenza, Ascoli, Modena, Cesena e Venezia. Spero arrivi presto la serie A. Se lo meritano per quello che stanno facendo".
Cosa ha insegnato Alessandro Pierini a suo figlio? "Che nel calcio e nella vita in generale c’è bisogno di sacrificio. Io sono andato via ragazzino da casa per vivere e giocare a Udine e ho faticato giorno per giorno costruendomi un futuro da giocatore ma guardando in prospettiva. A Nicholas ho sempre detto che la carriera di calciatore è breve e bisogna pensare anche al dopo come ho fatto io. Lui ha 26 anni ed è giusto che si concentri su quella che è la sua grande passione e il suo lavoro. Ma saprà guardare anche al futuro".
Sotto questo profilo c’è un collega che ha rappresentato un modello per lei? "Sicuramente Nestor Sensini: grande calciatore, grande uomo. Un esempio".
Proprio con l’Argentina la sua unica presenza in azzurro ma la carriera con l’Italia poteva essere più lunga. "Dopo la vittoria in Coppa Italia nel 2001 con la Fiorentina ero nel giro della Nazionale, Trapattoni che era stato il mio tecnico mi stimava. Dovevo andare in Premier al West Ham ma tutto saltò all’ultimo momento. Restai a Firenze e mi feci male alla schiena. Per questo saltai il Mondiale di Corea e Giappone. Poi la Fiorentina fallì e i grandi progetti svanirono".
Di cosa ha fatto tesoro nella sua nuova vita professionale rispetto a quanto imparato nel calcio ? "L’umiltà innanzitutto. Poi essere sempre critico con me stesso e alzare l’asticella degli obiettivi da centrare. Per fare sempre meglio non ci si deve accontentare mai. Prima lo facevo in campo cercando di fermare attaccanti di grandissimo valore, ora è il mio obiettivo per dare sempre qualcosa di più al cliente. La parola d’ordine è: mai adagiarsi".
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