Coach Randisi. "Bene le vittorie, ma il cammino è ancora lungo»
L’argentino allena i Diavoli insieme a Violi e Fonzi "La risposta dei ragazzi è stata ammirevole".
"Rezz l’è una zittadeina cicca, ag tira seimper bon aria e i furaster egh stan bein", scriveva un secolo e mezzo fa il settimanale in dialetto ’Pruspron’.
Ora Reggio non è più così piccola e l’aria, a giudicare dai dati Arpae, non è nemmeno tanto buona, ma i “forestieri” continuano a trovarcisi bene. Lo confermano anche i rugbisti argentini che, arrivati qui per giocare, non disdegnano a fine carriera di rimanere, per costruire un nido e mettere su famiglia.
Guido Randisi, nato 34 anni fa a Cordoba, una presenza con i Pumas, allenatore del Valorugby insieme a Violi e Fonzi, è l’ultimo esempio. A Reggio un anno e poco più fa è nato il suo bimbo, che ora, nonostante un poco di febbre ("ma sta già molto meglio"), Randisi si gode appena può.
E’ sposato con una reggiana? Rimarete a vivere qui?
"Sono fidanzato da dieci anni con una ragazza di Rosario, la mia città. Sì, l’intenzione è rimanere a Reggio, nonostante in Argentina vi siano tanti nostri affetti".
Si sta formando una bella comunità argentina tra Reggio, Colorno e Viadana.
"È sempre bello trovarsi con gli altri giocatori, magari dopo una partita, per bere una birra insieme. La situazione sociale e soprattutto economica in Argentina è tutt’altro che facile, da tempo, e questo, oltre allo sfaldarsi dei Jaguares (la franchigia serbatoio della nazionale dei Pumas, ndr) durante la pandemia, ha contribuito a spingere tanti rugbisti verso l’Europa. Italia, Spagna e Francia sono state le mete alle quali abbiamo guardato, soprattutto chi come me ha radici familiari qui".
Il cognome Randisi in effetti suona italiano.
"Il ramo paterno della mia famiglia arrivò in Argentina dalla Sicilia; mio padre è la terza generazione argentina, fu mio bisnonno a migrare. Mia madre invece è nata a Campobasso, in Molise. I suoi genitori partirono per l’Argentina negli anni ’50 ma tornarono a Campobasso per far nascere mia madre. A Rosario gestivano un forno che faceva pane, pizze, focacce alla maniera italiana; insomma sono cresciuto in un’atmosfera italiana, la messa la domenica mattina e tutto il resto".
Passiamo al rugby: dopo le difficoltà di inizio stagione sono arrivate due nette vittorie, è scattato qualcosa nella squadra?
"Due aspetti sono cambiati. Il primo, principale, è quello mentale: dopo un mutamento così drastico come il cambio di guida o rimani nel trend precedente o utilizzi il punto di rottura come leva per produrre un cambiamento. Abbiamo parlato con tutti i ragazzi, collegialmente e individualmente, chiedendo quali fossero i loro obiettivi e quali sacrifici fossero disposti a sostenere. La risposta è stata molto incoraggiante da parte di tutti. E’ stato il punto di partenza. Il secondo aspetto è quello del gioco, ma su questo non si può influire molto in pochi mesi. Bene le vittorie, ma ci aspetta ancora un lungo cammino, playoff compresi".
Cosa pensa delle modifiche alla struttura del campionato?
"Mi sento in linea con l’opinione della società. Un torneo a nove squadre e l’eliminazione della Coppa Italia fanno sì che si giochi troppo poco; questo mese abbiamo solo due partite. Una squadra con una rosa ampia come la nostra ne soffre particolarmente, perché ci sono tanti giovani o giocatori in fase di recupero che non trovano spazio. Alla fine in campo vanno sempre gli stessi e la competitività diminuisce".
Roberto Manghi, nominato portavoce della rinata Lega dei club, potrà influire?
"E’ una persona che conosce bene il rugby, l’ambiente, il campionato, non sorprende sia stato scelto come portavoce. Potrà dare un contributo positivo".
Violi ha 30 anni, lei 34; due coach molto giovani. Esser stato fino all’anno scorso compagno dei giocatori attuali è un aiuto o un ostacolo?
"Per me è stato un aiuto, anche perché ho potuto saltare la fase di conoscenza e di assestamento che in genere richiede mesi. La risposta dei ragazzi è stata ammirevole, non posso che avere belle parole per loro".
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