La storia "Ecco il mio rugby in bianco e nero"

Wolfango Arcangeli, decano degli atleti pesaresi: "Tutto cominciò negando scarpe con i tacchetti a un amico. Volevo la palla ovale"

20 agosto 2024

Wolfango Arcangeli, 78 anni, era uno dei quindici ragazzi che scesero in campo il 19 ottobre 1969, dunque quasi 55 anni fa, a Modena per la prima partita del Pesaro rugby. Il suo ruolo era tallonatore, fra i primi tre della prima linea della mischia. Wolfango è stato anche dirigente in B, la corrispondente dell’attuale serie A, e con Peter Cunnigton allenatore.

Wolfango, come cominciò tutto?

"Nel ’69 giocavo a calcio nel campetto di madre Flora. Avevo le scarpe con i tacchetti e un certo Stefano venne a casa mia a chiedermele in prestito perché voleva provare a giocare a rugby nel vicino campo di Loreto. Gli dissi di no, che volevo provarci io: avevo visto la palla ovale e mi incuriosiva"

La prima volta?

"Ci dettero appuntamento alla stazione del treno per la prima trasferta a Modena, ma uno di noi non si presentò per paura di farsi male in vista di un esame di studi. Fu allora che Adriano Fileni arrivò, figlio del giudice di pugilato, da Roma in 500 per prendere il suo posto"

Il ricordo che ancora la diverte di più?

"Quella volta che nel 1983 andammo a Ragusa per gli spareggi promozione per la B e che uno di noi si imbarcò con il terrore per il volo. Rimase tutto il viaggio con gli occhi piantati sul giornale aperto, ma era alla rovescio!"

Che rugby era quello in bianco e nero?

"Sono cambiate molte regole: il gioco è diventato più tecnico e veloce. Allora molto si riduceva a mischie e ripartenze. Ricordo che si prendeva la palla, la si calciava dall’altra parte rincorrendola e tentando di andare in meta. E poi il contatto ai miei tempi era subito punito. Però oggi il gioco è più divertente. Ho visto a Pesaro squadre giocare molto bene, alla mano, veloci. Inoltre rispetto ad allora ora se segni quattro mete hai un punto di bonus, e cinque in caso di vittoria. Il nuovo regolamento incentiva il gioco".

Torniamo a lei, la gara da sballo? (ride)

"Un venerdì sera scopro che non ero nell’elenco dei convocati per la trasferta di Prato. Allora il sabato sono uscito con i miei amici del bar rientrando alle cinque del mattino. Non ricordo per quale motivo avevo comunque preparato la borsa per andare a giocare. Non si sa mai, e infatti: alle sei del mattino arriva un mio compagno al piazzale di Madonna di Loreto, suona e chiede di me a mio padre che risponde in dialetto: “L’è apena artornet a chesa“ (è appena tornato a casa). Ma nel frattempo io ero già in piedi con la borsa in mano: “No babbo, sono pronto, digli che scendo subito“. Pur giocando male, perché io giocavo male, mi piaceva tanto il rugby che ero disposto a tutto".

E come andò?

"A Prato giocai anche meglio di altri. La mia carriera sarebbe terminata alla fine del 1974. Da gennaio 1975 venni assunto alle Poste in Brianza, ma continuai a seguire il movimento ogni volta che tornavo. Quando arrivò Peter Cunninghon come allenatore giocatore mi cercarono per aiutare la società, ero diventato l’uomo di fiducia del presidente Tonino Uguccioni per l’acquisto di materiale in particolare. In pratica il dirigente accompagnatore"

Ha mai temuto il peggio? (ride)

"Quella volta che Capponi autocorriere accostò il pullman e minacciò di farci scendere tutti in Toscana se avessimo continuato a fare quel chiasso".

Rugby sport violento?

"Macchè. Ho visto avversari prendersi a pugni in campo e bersi una birra assieme dopo. In altri sport non succederebbe".

Va ancora al campo?

"Certo, berretto e giubbotto però e non nei giorni di tempesta. Ho una certa età. Ma mi abbono ancora".

Davide Eusebi

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