Il ’museo’ dei Giardini. Da Bussolari a Tattini, gli eroi del Playground
Il torneo, giunto all’edizione numero 43, rende omaggio a protagonisti scomparsi. La gara delle schiacciate dedicata a Vignoli, uno dei premi più ambiti è il Di Cesare.

Il torneo, giunto all’edizione numero 43, rende omaggio a protagonisti scomparsi. La gara delle schiacciate dedicata a Vignoli, uno dei premi più ambiti è il Di Cesare.
Il torneo che guarda avanti, ma non dimentica il passato. E’ il Playground dei Giardini Margherita che diventa una sorta di museo a cielo aperto, per onorare la memoria dei propri eroi. Un torneo che guarda avanti perché già dalla prima edizione, nel 1982, introduce le regole mutuate dalla Nba.
Ai Gardens il tiro da tre e la divisione in quarti – inizialmente come negli States da dodici minuti l’uno – ci sono da sempre. Bandita persino la difesa a zona, punita con un fallo tecnico. E andando anche oltre alla Nba, ai Giardini, avevano creato una sorta di ‘arbitro da tavolo’. Avevano copiato, dal tennis, il ‘seggiolone’: dall’alto un arbitro, Ciucci Devetag, era chiamato a segnalare la difesa a zona. Sempre avanti, senza dimenticare le proprie origini.
Per questo, per esempio, il torneo da qualche anno è diventato Walter Bussolari Playground. Walter era la voce calda e appassionata che faceva sognare gli appassionati di basket. Trasformando (all’insegna della goliardia) vere e proprio bufale in notizie se non reali, quantomeno realistiche.
Il campetto su cui si gioca, una vecchia striscia di cemento (ora più moderna) è intitolato a Gianni Cristofori, cronista proprio del Carlino che, per primo, diede spazio al torneo. A proposito di cemento, il primo campetto venne costruito (prima c’era solo la terra battuta, con tanta polvere) grazie all’intuizione di Luciano Valente. La gara delle schiacciate è intitolata ad Andrea Vignoli, detto Vignè. Era un playmakerino di poco più di 170 centimetri, ma schiacciava. Il titolo di mvp porta il nome di Riccardo Di Cesare, che è stato uno dei primi allenatori dei Gardens. E a proposito di allenatori che ci hanno lasciato, ma hanno ‘marchiato’ il torneo, impossibile dimenticare Dario Bellandi (che ci ha anche giocato) ed Ettore Mannucci, l’artefice del miracolo Malaguti San Lazzaro.
Sempre in panchina si sono visti John McMillen e Alessandro Lunati e pure un artista e assessore. Proprio così: nei successi tra fine anni Ottanta e prima anni Novanta troviamo Concetto Pozzati, che avrebbe poi trasmesso la passione per i canestri al figlio Jaja. Tra i giocatori allenati da Pozzati, anche Pier Paolo Zamboni, l’avvocato, scomparso un anno fa. Tra le icone – quest’anno ci sarà una partita, dopo la fine del torneo – Andrea Tattini. Il ‘Tatto’ era uno che giocava con lo spirito giusto. Prima a pallone, poi con i canestri: sempre con entusiasmo e passione. Coinvolti anche alcuni dirigenti: Gabriele Filippi, per esempio, portò ai Giardini addirittura un coach Nba, Pj Carlesimo. E Piero Parisini, tra i padri nobili della Fortitudo basket, soprannominato il ‘papa’, scoprì per caso, quando era dirigente di Roma, che il suo Andrea Niccolai, pagato una dozzina di miliardi (di vecchie lire) avrebbe giocato su quel campetto in cemento.
E non è finita perché un amico del Playground era Maurizio Cevenini, consigliere comunale e, per la città, il sindaco rossoblù molto tempo prima che il titolo venisse affibbiato a ’Lollo’ De Silvestri. E che dire di Romano Bertocchi che è stato anche presidente della Virtus durante la gestione di Claudio Sabatini? Romanino ai Giardini era di casa. E poi, via via tutti, gli altri. Da Jim Black, l’unico giocatore professionista di baseball che si convertì, per un’estate, ai canestri. Oppure Claudio Gambini, per tutti Moses, il pivot bonsai che prendeva decine di rimbalzi.
E ancora Paolo Barlera (i suoi compagni di squadra e ’Murphy’ Sanguettoli gli dedicarono una serata) e Andrea Blasi, che a Bologna aveva giocato con Fortitudo e Gira, facendo anche, un anno, la preparazione con la Virtus. E poi Marco Marchetti, al quale è dedicato l’impianto di Castel Guelfo, Denis Innocentin, Matteo Bertolazzi, Lorenzo Zanni e Cedric Hordges, il ‘Cedro’ della Fortitudo che era uno dei fedelissimi del Mulino Bruciato. O anche Chicco Ravaglia. Le prossime mosse? Magari la tribuna (in realtà ci sono i gradoni) Bellandi, la curva (che è il prato) Mannucci. O il tabellone Gambini. Storie che solo il Playground può raccontare.
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