Serie A , ’Tu vuò fa l’italiano’. Il sorpasso dei club stranieri. Usa padroni nel Belpaese
Sembra una barzelletta all’incontrario, che potrebbe cominciare con "c’erano un italiano, un italiano e un italiano", perché ormai le proprietà...

Sembra una barzelletta all’incontrario, che potrebbe cominciare con "c’erano un italiano, un italiano e un italiano", perché ormai le proprietà...
Sembra una barzelletta all’incontrario, che potrebbe cominciare con "c’erano un italiano, un italiano e un italiano", perché ormai le proprietà nostrane nel calcio di vertice sono sempre meno. In Serie A per la prima volta c’è stato il sorpasso, dalla prossima stagione ci saranno 12 club nelle mani di imprenditori stranieri e solo otto di proprietà...indigena. La serie B resiste ancora, sono ’solo’ sette le formazioni controllate da capitali d’oltre confine. Ma il fenomeno ormai non è più una moda, è qualcosa di strategico.
Visti i tempi non è il caso di meravigliarsi né soprattutto di scandalizzarsi: all’estero ci sono abituati da molto tempo, il PSG è arabo, la Premier è in larga parte nelle mani di americani ed arabi e sono proprio le squadre che vincono nel campionato più bello del mondo. Anche da noi nelle ultime stagioni ha (quasi) sempre dominato chi ha le spalle coperte da fondi o magnati o miliardari assortiti, alcuni con radici nel Belpaese, ma comunque con passaporto diverso.
La Serie A si...difende con il Napoli che ha saputo vincere due degli ultimi tre scudetti e il suo lider maximo Aurelio De Laurentiis, con la Juventus che non è mai uscita dalle mani degli Agnelli, con la Lazio di Lotito, il Torino di Cairo, il Cagliari di Tommaso Giulini, il Sassuolo degli eredi della famiglia Squinzi, il Lecce di Sticchi Damiani, la Cremonese di Arvedi. Sono otto su venti, ora che anche l’Udinese è passata di mano dopo quasi quarant’anni in cui alla guida c’era la famiglia Pozzo. La retrocessione in B del Venezia americano di Niederauer e il fatto che il Monza sia diventato a stelle strisce dopo la caduta in cadetteria, chiudendo l’era della Fininvest nel calcio con l’arrivo del fondo americano Beckett Layne, non sposta il ragionamento.
Sia chiaro, questo trend ormai irreversibile del nostro calcio non è altro che uno specchio dei tempi, rispetto a grandi marchi dell’industria o ad altre eccellenza la differenza la fa, probabilmente, solo la grande esposizione mediatica di chi acquistando un club sportivo si mette in casa anche la passione di città e popoli. E affronta questi temi in modo che a volte ci sembra originale.
Perché non tutte le proprietà straniere sono uguali, anzi. Come non sono uguali le piazze. A Milano probabilmente è più facile, per vocazione internazionale della città, rapportarsi con le proprietà straniere di Inter (il fondo americano Oaktree arrivato dopo il cinese Zhang e l’indonesiano Thohir) e Milan (Redbird con Gerry Cardinale, che lo ha rilevato dall’altro fondo Elliott). Nelle altre realtà meno, vedi le difficoltà nei rapporti tra la Roma giallorossa e Dan Friedkin oggi come James Pallotta prima: non sempre dagli Usa si riesce a capire in che modo ragiona una tifoseria, quelle italiane di sicuro sono molto diverse rispetto a quelle americane che vanno a vedere uno spettacolo, prima di tutto.
Gli Stati Uniti sono i più presenti, spesso con fondi che non hanno una faccia, perché comprano il club come puro investimento. Oltre alle due milanesi, dagli Usa vengono il fondo Guggenheim di Mike Walter, nuovo padrone anche dei Los Angeles Lakers, che si sta prendendo l’Udinese. Americano con radici italianissime è Rocco Commisso, che a Firenze ha già lasciato un segno con il Viola Park. A New York è nato Stephen Pagliuca, che ha rilevato la maggioranza dell’Atalanta lasciando però la gestione della società ai Percassi che avevano già dimostrato di saperlo fare benissimo. Americano è il patron del Parma Kyle Krause, a Austin in Texas ha sede il fondo Presidio che ha preso il Verona, russo-americano è l’Alexander Knaster salito in A con il Pisa.
Canadese, e credeteci fa tanta differenza, è il patron del Bologna Joey Saputo, che ha sempre tenuto un profilo basso ma ha mantenuto tutte le promesse riportando i rossoblù in Europa e al successo in Coppa Italia, fidandosi di Claudio Fenucci, Marco Di Vaio e Giovanni Sartori, dimostrando di saper delegare. Lui, Saputo, rappresenta con i fratelli indonesiani Hartono e il Como la dimostrazione che i capitali contano, ma molto di più conta saperli usare bene (vero Juventus?), e stanno gradualmente spostando l’asse del campionato. Infine il Genoa del romeno Dan Sucu: dopo la salvezza si capirà quali sono le reali ambizioni del Grifone.
In B oltre a Monza e Venezia, ci sono il Palermo che è una delle dodici società di proprietà del City Group (quello del Manchester), il Cesena degli americani Lewis e Aiello, la Juve Stabia di Daniel McCloy e il Padova riportato in B dal franco-armeno Oughourlian (ma c’è un’offerta degli americani di Prime Capital...)
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