Stringara l’esploratore: in Corea con Klinsmann. "Obiettivo Coppa d’Asia"
L’ex di Inter e Bologna è il vice del tedesco sulla panchina della nazionale: "Al Sud i giocatori sono famosissimi, ci alleniamo vicino alla zona dell’armistizio"
Allora, ci sono un tedesco, un italiano e un coreano. Anzi, molti coreani. Detta così, sembra la partenza di una barzelletta. E invece è una storia vera, una di quelle storie che forse soltanto il calcio ha il potere di rendere autentiche.
Paolo Stringara, classe 1962, originario di Orbetello, livornese di adozione, ha avuto una brillante carriera con il pallone tra i piedi. Centrocampista di quantità, contribuì alle fortune del magico Bologna di Gigi Maifredi. Poi vinse una Coppa Uefa con l’Inter di Trapattoni, nel 1991. E ancora è stato allenatore in giro per l’Italia: tanta serie C, da Modena a Taranto, da Viterbo a Pistoia, da L’Aquila a La Spezia.
Oggi…
"Oggi faccio parte dello staff tecnico della nazionale della Corea del Sud – spiega con un sorriso il protagonista di questa avventura speciale –. In pratica sono il vice allenatore".
E il ct chi è?
"Jurgen Klinsmann".
La Pantegana Bionda, copyright Gialappa’s Band, dell’Inter del Trap.
"Lui. Fummo compagni in nerazzurro per una stagione ed è nata una amicizia che dura da oltre trent’anni".
Ma cosa c’entra la Corea del Sud?
"Adesso ci arrivo. Quel gruppo, intendo il gruppo della Beneamata, aveva un legame molto forte. Pensi che ci vediamo ancora, almeno una volta ogni dodici mesi. E dunque una sera Klinsmann…"
Che fece, la Pantegana Bionda?
"Lui dopo aver allenato la Germania era andato a fare il ct degli Stati Uniti. Mi invitò in Olanda per un’amichevole degli americani. Feci un salto, chiacchierai molto con Jurgen e gli USA batterono gli Orange".
Merito di Stringara.
"Oh via, non esageriamo, mica voglio passar per bischero! Però dopo Klinsmann mi chiese se ero libero e se volevo collaborare con lui. Io ero rimasto senza panchina, accettai al volo".
Di voli dopo ce ne sono stati tanti.
"Eh, lasciata l’America a Jurgen è arrivata l’offerta della Corea del Sud. Mi ha chiesto di seguirlo e adesso ci stiamo giocando le qualificazioni al Mondiale".
Problemi?
"Uno: si chiamano quasi tutti Kim e se in allenamento gridi appunto ‘Kim’, beh, si girano in quattordici…".
E come vive un ex centrocampista di Orbetello nella tentacolare Seul?
"Calma, calma: quasi tutti i nostri nazionali giocano nelle leghe europee. Comunque un sei-sette volte all’anno andiamo là, tra partite e periodi di preparazione. Solo che…"
Solo che?
"Sa dove sta il centro tecnico della Federcalcio? A pochi chilometri dal confine con il Nord, la zona dell’armistizio dove Trump incontrò Kim Jong Un…"
Meglio parlare di calcio.
"Appunto. Al Sud i giocatori sono popolarissimi. Idoli assoluti, soprattutto tra il pubblico femminile. A volte durante una partita esplode un boato per un fallo laterale e io e Klinsmann ci guardiamo stupiti…"
Che succede?
"Lo schermo gigante dentro lo stadio mostra un primo piano del Kim che stava a Napoli o del Son che sta al Tottenham e la gente diventa matta!".
Bel clima.
"La squadra è circondata dall’entusiasmo. A inizio anno andremo in Qatar per la Coppa d’Asia, c’è molta attesa".
Lì ritroverete il Mancio, ct dei sauditi.
"Ci abbiamo già giocato una amichevole a Newcastle, il mese scorso. Abbiamo vinto noi".
Mancini ha fatto bene o ha fatto male a lasciare l’Italia?
"Bastava dicesse che non poteva rifiutare una offerta economica così grande".
E con i calciatori che scommettono come la mettiamo?
"La mettiamo che sono giovani uomini da recuperare, ragazzi da non abbandonare ai loro errori. È cambiato davvero il mondo da quando io ragazzino ero stato preso dall’Inter, pigliavo un treno all’alba per andare a Milano e vivevo in un pensionato. Oggi è tutto diverso, tra agenti, procuratori, sponsor. Noi si viveva in maniera più semplice, quando nel 1990 l’Inter venne a riprendermi dal Bologna dopo avermi scartato dieci anni prima mi sembrava di volare…".
Nel frattempo aveva marcato per primo Maradona.
"Estate 1984, Diego debutta con il Napoli in amichevole contro il mio Siena. Gli faccio subito fallo e tutti mi volevano menare, compresi i miei compagni di squadra. Lui si alza, mi allunga la mano e fa: tranquillo, va tutto bene, ci sono abituato. Io ero così stordito che gli risposi: ma allora è vero che tu sei Maradona…".
Appunto, altro che calciatori che scommettono.
"Eh, forse allora c’era anche nei grandi il senso dell’umiltà. Quando il Trap lasciò i nerazzurri per tornare alla Juve, mi sorpresi a trovare un biglietto scritto a mano nella tasca della mia giacca. Era suo, di Trapattoni. Mi ringraziava per quello che gli avevo dato! Lui, un gigante, ringraziava me, un gregario. Si rende conto?"
Sì. Buona Corea, Paolo.
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