Bruno Pizzul, l’intervista a Capello: “Bastava il nostro dialetto. E ci capivamo al volo”
L’ex allenatore e il commentatore entrambi goriziani: “Aveva una marcia in più: capiva di calcio perché era stato un giocatore”
Roma, 5 marzo 2025 – “Con Bruno parlavamo in un dialetto tutto nostro, il bisiaco. Lui di Cormons , io di Pieris. Provincia di Gorizia, la Jugoslavia del maresciallo Tito non era tanto lontana. Abbiamo fatto un bel pezzo di strada assieme. Per me è stato un maestro”.
Fabio Capello e Bruno Pizzul. I testimoni di una cultura, quella del Friuli, abbinata al pallone.
“Il nostro leader spirituale in un certo senso è stato Enzo Bearzot, il ct dell’Italia Mundial – racconta l’ex allenatore del Milan berlusconiano –. Senza dimenticare un certo Dino Zoff e pure Tarcisio Burgnich, la Roccia dell’Inter di Herrera e della Nazionale di Messico70”.
Radici comuni.

“Radici lunghissime, profonde. Un senso di appartenenza collettivo, valori tramandati attraverso le generazioni, tradizioni da non disperdere. Sa cosa significa bisiaco?”
No, ma ricordo che Gianni Brera definiva il Capello centrocampista ‘il Gran Bisiaco’.
“Sì, rammento. Bisiaco vuol dire tra due acque. Nato tra due acque. Ecco, io e Bruno venivamo dalle terre bagnate da due fiumi, l’Isonzo e il Timavo. Siamo friulani speciali, con un dialetto esclusivamente nostro”.
Magari vi serviva per non farvi capire quando volevate tenere riservate certe convinzioni calcistiche…
“Ma no, non ce n’era bisogno. Bruno è sempre stato uno diretto, trasparente. Non se la tirava assolutamente, pur essendo la voce Rai per antonomasia, almeno sul pallone. La sa quella della patente?”
Sentiamo.
“Pizzul in vita sua non ha mai guidato l’automobile, la patente non l’hai mai voluta. A Milano girava in bicicletta e salutava tutti quelli che lo riconoscevano, che come può immaginare erano tantissimi. Se proprio aveva bisogno di spostarsi in macchina, si affidava alla amatissima moglie”.
Come vi siete incontrati?
“Io giocavo nella Juventus e lui faceva telecronache delle mie partite. Poi ci siamo ritrovati sulla stessa barricata, dietro lo stesso microfono. Lui mi ha fatto da tutor!”.
Capello spalla di Pizzul, oggi diremmo seconda voce.
“Così, esatto. Mai un problema. Ci capivamo al volo, in un certo senso eravamo complementari”.
Praticamente complici.
“Complici, perfetto. E posso aggiungere una cosa?”
Anche due o tre.
“La signorilità e il talento professionale di un Nando Martellini non si discutono, ci mancherebbe. Ma Bruno aveva qualcosa in più”.
Sarebbe a dire?
“In gioventù era stato calciatore di buon livello. Diceva che gli osservatori si erano sbagliati e lo avevano preferito proprio a Burgnich, nel 1958. Comunque aveva giocato nel Catania, sfidando anche la Juventus di Omar Sivori. Quella esperienza gli garantiva una competenza specifica che i suoi colleghi di microfono non potevano avere. Ma non la ostentava mai. Glielo ho detto, era un signore”.
Capello, come ben può immaginare la scomparsa di Pizzul, voce Rai per il calcio sul finire del Novecento e anche oltre, ha acceso il dibattito…
“Amico mio, so dove vuole andare a parare: meglio i telecronisti come Bruno o quelli di oggi?”
Appunto: lei da che parte sta?
“Allora, io ho la fortuna di collaborare da anni con Sky. Chi racconta le partite del calcio post moderno è bravissimo, preparatissimo. Lo dico per esperienza diretta…”
Però c’è un però.
“Ecco, i telecronisti di oggi ogni tanto dovrebbero lasciar riposare le orecchie del telespettatore”.
Come faceva il grande Bruno Pizzul.
“Sì, come faceva Bruno, il mio maestro bisiaco”.
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