Sport e bioetica. Imane Khelif è donna. La soluzione è nella scienza

Le variazioni sessuali note sono più di quaranta. Il Cio nel 1999 rinunciò alle verifiche: erano inaffidabili

di SILVIA CAMPORESI* -
4 agosto 2024

Roma, 4 agosto 2024 – Vari tipi di test di verifica del sesso femminile si sono succeduti dal secondo dopoguerra alla fine degli anni 90: prima ispezioni visive dei genitali, poi test cromosomici da ultimi test genetici. Questi test risultarono in un grande numero di falsi positivi che causarono un crescente imbarazzo nel corso degli anni alle federazioni sportive internazionali e al Cio. La goccia che fece traboccare il vaso fu il caso dell’ostacolista spagnola Maria José Martínez-Patiño, che fu squalificata nel 1986 in seguito a non "aver passato" il test del corpo di Barr, che andava a ricercare la presenza di due cromosomi XX. Maria aveva vissuto fino ad allora non sapendo di avere quello che in gergo scientifico si chiama "corredo cromosomico non standard". Maria fu squalificata, fece appello, lo vinse, ma ormai la sua carriera atletica era finita: per soli 0,01 secondi non si qualificò alle Olimpiadi 1992 a Barcellona, nel suo Paese natale. Una vera tragedia personale che intaccò l’immagine pubblica della Iaaf (federazione di atletica) e del Cio. Proprio per questo, più che per il rispetto che per le atlete, nel 1999 il Cio decise di abbandonare tutti i tipi di test di verifica del sesso.

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Imane Khelif
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Maria Martinez Patiño aveva una condizione che oggi chiamiamo "variazione di sviluppo del sesso", che è un termine ampio che include una varietà di condizioni (circa 40, ma il numero varia a seconda delle classificazioni) per cui non c’è una corrispondenza lineare tra genotipo e fenotipo, tra i nostri geni e il nostro aspetto. Appunto: una donna può avere un corredo cromosomico non standard e può avere cromosomi XY. Non tutte queste condizioni sono patologiche per l’individuo (proprio per questo la comunità scientifica internazionale ha cambiato il nome a queste condizioni da "disorders of sex developments" a "differences of sex development").

E qui veniamo al caso Carini-Khelif. Anche l’algerina Imane Khelif, sulla base di quanto sappiamo, ha una variazione di sviluppo del sesso. L’Iba (una delle federazioni di pugilato) ha informato che Khelif ha cromosomi XY. Khelif non è intersessuale, non è transgender. È una donna nata con un corredo cromosomico non standard.

Dal 1999 ad adesso è passato un quarto di secolo esatto, ma non sembra che abbiamo fatto passi avanti, anzi. La soluzione dell’idoneità a competere nella categoria femminile è complessa, ma non impossibile da dirimere: richiede evidenze scientifiche sport-specifiche per dimostrare se livelli naturali, endogeni (quindi non dovuti a doping) di testosterone conferiscano un vantaggio "sproporzionato", ovvero un vantaggio non raggiungibile da altre atlete senza quegli elevati livelli di testosterone.

In altre parole: possono atlete come Khelif, o Caster Semenya, essere battute da atlete donne non iperandrogene? Se sì, allora il vantaggio derivato da elevati livelli naturali di testosterone deve – per coerenza logica – essere considerato alla pari della miriade di altri vantaggi naturali biologici e genetici che fanno sì che gli atleti che competono alle Olimpiadi siano dei "mostri" (nel senso etimologico dal latino "monstrum", di essere eccezionale), mentre noi, che li guardiamo a bocca aperta dalla televisione o dallo schermo di un computer, continuiamo a essere comuni mortali.

* Docente di Sports Integrity and Ethics all’Università di KU Leuven in Belgio, fa parte dell’Ethics External Advisory Board della Wada (Agenzia mondiale antidoping); autrice di "Partire (s)vantaggiati: corpi bionici e atleti geneticamente modificati" (Fandango, 2023)

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