I miei 49 Roland Garros (parte 2): da Lendl al pazzesco Chang dell’89

Gli aneddoti di Scanagatta a Parigi: da un Agassi deludente a un Sampras superato dagli spagnoli. E quella pugnalata ad Amburgo che nega il poker alla Seles

di UBALDO SCANAGATTA -
30 maggio 2024
Da sinistra: Ivan Lendl, Michael CHang, Pete Sampras e Martina Navratilova

Da sinistra: Ivan Lendl, Michael CHang, Pete Sampras e Martina Navratilova

Parigi, 30 maggio 2024 – Mi ero fermato, nel mio precedente amarcord parigino del Roland Garros, alla mia prima decade di “copertura giornalistica”, 1976-1986.

Quindi riprenderei dal 1987, anche se in verità è il 1989 l’anno più straordinario che io ricordi in termini di aneddoti e curiosità. Soprattutto ripartendo dalle finali, anche se non solo da quelle.

Ovviamente mi è più facile ripensare, in genere, alle finali che seguii punto per punto con i miei 174 notebook di appunti, uno per ciascuno degli Slam e gelosamente custoditi con la possibilità per me di ricostruire con un’occhiata per ogni paginetta corrispondente a un set, ogni finale di Slam. Il mio metodo di trascrizione punti, game, ace, doppi falli eccetera, a suo tempo ispirato da Rino Tommasi e poi da me via via ottimizzato (anche se ai più possono apparire geroglifici dell’epoca Ramses II) mi consente di ricostruire in un minuto tutto quello che è successo in queste 174 finali. Peccato che il giorno in cui non ci sarò più difficilmente qualcuno sarà in grado di recuperarli. Oggi, e da più di un ventennio, c’è Internet e i vari siti che possono aiutare a ricercare tutto quanto successo, ma nel primo ventennio-trentennio dell’era Open - figurarsi prima! – non c’era niente. Tant’è che, scherzando, una volta Rino, super statistico, dichiarò: “Prima di Internet nel tennis c’era Rino Tommasi!” E poi aggiunse: “Non c’è nessuna ragione perché io debba essere modesto!”. Ma, ripeto, la sua era ironia, non autoreferenzialità.

Il cambiamento più significativo nei miei ricordi per la decade 1986-1996 avvenne inizialmente in campo femminile. Si era praticamente conclusa l’era Evert-Navratilova a Parigi (Chris aveva vinto ben 7 Roland Garros, non solo 5 Internazionali d’Italia, e Martina 2…mentre Tracy Austin e Andrea Jaeger, martoriate da una catena di infortuni, ballarono solo poche estati) e nell’87 e nell’88 ci furono i primi 2 dei 5 successi di Steffi Graf, classe ‘1969 (il 15 giugno), quindi non ancora diciottenne. Ma io ricordo ben quando, a noi del trio Matusa, Rino, Gianni Clerici ed io, ci fu detto 5 anni prima (nel 1982) di correre, ma proprio correre, per andare a vedere – mi pare sul campo 5 che non esiste più, smantellato come quasi tutto il Roland Garros- nel torneo junior una biondina prodigio di non ancora 13 anni, agile come una gazzella, con due gambe esili come grissini, un naso già piuttosto pronunciato, la quale sembrava capace di giocare con una straordinaria e fluida naturalezza dritti vincenti, quasi invisibili per le avversarie (perché l’apertura della racchetta Steffi la nascondeva con parte del corpo, arrivava da dietro, il contrario di quanto avviene oggi) e incredibilmente filanti nonostante la tenerissima età e le due braccia ancor da bambina. Niente a che vedere, insomma, con quei muscoli che già a 17 anni mi avrebbe mostrato Serena Williams.

Con noi accorse a vederla, incoraggiato anche lui da Gil de Kermadec, un grande artista-regista della filmografia tennistica – i migliori filmati del Roland Garros open, conservati al Tennismuseum, sono suoi - venne anche un certo Philippe Chatrier, il cui nome forse vi dice qualcosa.

In quel primo turno Steffi incontra e perde 6-3,6-3 da una danese di 3 anni più grande Tina Scheuer Larsen, che sarebbe arrivata a n.34 del mondo.

5 anni dopo, quando Steffi ha già fatto due semifinali all’US Open, eccola sul centre court di Wimbledon contro la stessa danese. Beh in 41 minuti, se non ricordo male, Steffi vince 6-0 6-0. Lì chiunque, non solo io, capisce che c’è una nuova campionessa in divenire, anche se allora non si usava il termine NextGen.

Steffi, debuttando a meno di 14 anni nel tabellone principale, uscì nel 1983 al secondo turno con la sudafricana Mould, poi terzo turno nell’84, ottavi nell’85 (ma trovò Evert), quarti nell’86 (battuta da Mandlikova). Nell’87 era già n.2 del mondo: aveva vinto 14 tornei in due stagioni. Ma le prime due favorite erano ancora Evert (campionessa delle ultime due edizioni) e Navratilova. Fino alle semifinali Steffi domina: perde solo 18 giochi. Nei quarti dà 62 62 a Raffaella Reggi. Ma in in semifinale trova Gabriela Sabatini, e come a Roma, la batte, ma di misura: 64 46 75. Nell’altra semifinale Navratilova domina Evert, 62 62, e Martina è avanti 5-2 negli head to head con Steffi.

Steffi ha al suo angolo papà Peter, Martina la bella texana Judy Nelson che ha lasciato il marito per stare con Martina. All’epoca non era cosa così banale. Anche se Martina più tardi avrà al suo angolo una transgender, Renee Richards, ex campione universitario americano quando si chiamava Dick Raskind. Ancora meno banale.

Ricordo poco. Un set pari, con Steffi che vince il tiebreak, Martina che eguaglia il conto dei set (76 e 46). Nel terzo Martina è avanti 5-4 e servizio, ma l’urlo di uno spettatore sul 15 pari e fra prima e seconda palla cambia la storia di quel match: Martina commette due doppi falli di fila e addio break di vantaggio. Un altro doppio fallo di Martina sul matchpoint sul 7-6 per Steffi regala alla tedesca il primo Roland Garros.

Il 1988 lo vorrei liquidare con due sole righe: Steffi vince il Grande Slam e lo fa diventare …Golden, perché vince anche l’oro olimpico a Seul. Anche se il torneo non è ufficiale, ma in… “probation”. Però accade che Steffi in finale batta la russa Natasha Zvereva 60 60 in 34 minuti! E’ la finale più breve della storia. E non sarà mai battuta, perché oggi si sta fermi un minuto e mezzo ogni volta che si cambia campo (per inserire gli spot commerciali).

Il Roland Garros 1988 passerà alla storia come uno degli anni con le peggior finali di sempre. Dopo Graf Zvereva ecco Wilander-Leconte: 75 62 61 per lo svedese al suo terzo trionfo parigino e con Henri Leconte, paralizzato dall’emozione alla sua prima finale e che viene fischiato impietosamente lungo tutto il secondo e il terzo set perché non riesce a mettere una palla dentro e sbaglia di metri. Povero Henri Riton, mi fa pena, non se lo meritava. Impossibile però non provare simpatia e solidarietà per un mancino di grandissimo talento che si è comunque issato al quinto posto delle classifiche mondiali e giocava punti straordinariamente belli ma si era creato la fama di essere tennista…dal grande braccio ma di poca testa. E senza attributi, sebbene poi nel ’91 sarebbe stato uno dei due eroi francesi a Lione, quando battè Pete Sampras e vinse il doppio accanto a Forget su Flach-Seguso, per aver riconquistato la Davis per la Francia per la prima volta dopo il 1932.

Nessuno era più arrivato da allora, dai “moschettieri” Cochet, Lacoste, Borotra, Brugnon ai quali si deve – riconoscenti - la costruzione del Roland Garros …per ospitare la (vittoriosa) finale di Coppa Davis con gli Stati Uniti nel 1928, dopo che la Francia aveva già vinto la Davis nel 1927 sull’erba del German Town Cricket Club di Filadelfia.

Ma se le finali del RG del 1988 furono assai deludenti, in compenso l’edizione del 1989 è forse, almeno per me, in lizza con le più memorabili di sempre.

Due diciassettenni vinsero Parigi, Arantxa Sanchez che battè la strafavorita Steffi Graf in finale, e il semisconosciuto “cinesino”Michael Chang che battè in finale Edberg dopo aver eliminato in ottavi, al termine di un match leggendario, Ivan Lendl.

Nessuno di chi vide quel match può averlo dimenticato. “Michelino”, come lo chiamava con un vezzeggiativo Gianni Clerici, ne combinò di tutti i colori fino a far perdere la completamente la testa a quel Lendl frastornato come non mai. Chang rimontò due set di handicap, 46 46 63 63 63 sorprendendo Ivan con un servizio dal sotto, piazzandosi sulla riga del servizio quando batteva Ivan per disorientarlo, giocando smorzate irrisorie. Lendl schiumava rabbia e furente non era più lui. Il cinesino che invocava Dio e leggeva la Bibbia ogni sera prima di andare a letto, finì per dar vita alla più clamorosa sorpresa del torneo.

Qui devo raccontarvi che…al martedì successivo alle finali di Parigi dovevo discutere a Firenze la mia tesi di laurea in diritto penale: “La colpa nell’esercizio dell’attività sportiva”. Tesi preparata 17 anni prima, quando ero ancora fresco di studi giuridici.

Finisco di presentare la mia tesi a un team di professori di grandissimo nome e prestigio, il notissimo costituzionalista Paolo Barile, il futuro presidente Rai Roberto Zaccaria, docente di diritto pubblico, Enzo Cheli, futuro giudice della Corte Costituzionale, Ugo De Siervo, futuro presidente della Corte Costituzionale, i due docenti di Diritto e Procedura Penale…insomma, un parterre de Roi.

Bene: esco a fine presentazione perché loro discutano il voto da darmi ma quando mi richiamano e rientro il presidente della giuria, Paolo Barile, mi dice: “Mi spiace, so che lei non ha più potuto studiare troppo giurisprudenza negli ultimi anni, ma noi abbiamo bisogno di un supplemento di indagine”.

Io, letteralmente sbianco! Di legge non ho più studiato nulla da anni. Mi preparo al peggio, finché il prof Barile interrompe gli indugi: “Scusi Scanagatta, ma come ha fatto Chang a vincere il Roland Garros?”.

Trionfo!!!!!! Indimenticabile.

Adorerò sempre Chang, anche se Lendl non me lo perdonerà. Uno o due anni prima (ma comunque dopo la sua terza vittoria al Roland Garros) Ivan aveva risposto a una mia domanda su cosa avrebbe mai fatto una volta che avesse finito la sua carriera e lui con il tipico suo spirito alla Buster Keaton, cioè senza accennare l’ombra di un sorriso, ma guardandomi fisso per non dare adito a dubbi di sorta rispose: “L’unica cosa certa sarà che non farò il giornalista, soprattutto se calvo, per porre domande al vincitore di un torneo…”. Non sono sicuro, una quarantina d’anni dopo, se quelle furono le precise parole di Ivan, ma quello fu il senso. So solo che suscitarono l’ilarità generale.

Anche quella del ’90 non fu una finale banale. Tutti si aspettavano che, giunto alla finale con i capelli biondi sulle spalle (solo anni dopo avremmo scoperto trattarsi di una parrucca) e i pantaloni in jeans, Andre Agassi l’avrebbe vinta sull’equatoriano Andres Gomez, mancino con dritto retrattil-allungabile tipo piovra, che aveva già 30 anni. Invece vinse Gomez, con grande delusione dei teenagers fan della rock star di Las Vegas che si muoveva solo attorniato non da una sola bodyguards ma due o anche tre.

Quello fu l’anno passato alla storia come quello del martedì nero: sì perché le prime due teste di serie, n.1 Edberg e n.2 Becker, persero entrambi al primo turno, da due promettentissimi classe 1971, diciannovenni quindi, Bruguera e Ivanisevic. Non sarebbero stati fuochi di paglia, quelli dei due ragazzini.

Mentre fra le ragazze sarebbe spuntato l’astro Monica Seles, che avrebbe vinto 3 anni di fila (1990-1992) e chissà quante ne avrebbe vinte ancora se Gunther Parche, il pazzo fanatico tifoso di Steffi, non l’avesse accoltellata alla schiena con un pugnale e una lama affilata mettendola fuori gioco per 27 mesi, nel corso del torneo di Amburgo 1994 quando lei stava giocando con Magdalena Maleeva.

Nella finale del ’91, di nuovo, Andre Agassi, testa di serie n.4, era ampiamente favorito contro Jim Courier n.9, quando erano n.1 e n.2 i soliti Edberg e Becker.

Ricordo che piovve nella finale Agassi-Courier e la partita fu interrotta. Andre era avanti due set a uno, 36,64,36. Al rientro in campo Courier, che era stato sempre vicino alla riga del fondocampo per anticipare la risposta ai servizi di Andre, si piazzò un paio di metri più indietro, seguendo i consigli di Brad Stine. E fece bene. Vinse il quarto set 61 avendo destabilizzato con quel cambio tattico i piani di Andre. E poi 6-4 il quinto.

Andai alla player-lounge per incontrare Stine e magari Courier per apprendere che si era fatto vivo Pete Sampras, più amico di Red Jim che di Andre, per congratularsi con una frase spiritosa: “Spero che sotto quel tuo cappellino ora tu non abbia una big head”. Voleva dire: “…che adesso tu non ti monti la testa”.

1992 e Courier si ripete, prima con Agassi e poi con Korda. Brutte partite. 1993: si soffre per l’assenza della Seles, Gabriela Sabatini è la sola che mostra solidarietà. Le altre si nascondono. Bruguera vince in 4 set su Sampras che proprio terraiolo non è, poi lascia 6 game in semifinale a Medvedev e batte Courier alla terza finale, ma da tennista ormai… spento, a 33 anni. 1994 ancora più noioso: vince un derby spagnuolo Bruguera su Berasategui, l’unico tennista che io abbia mai visto che colpisce dritto e rovescio con la stessa faccia della racchetta. Basco e bravo ragazzo, ma di una banalità pazzesca ogni volta che apre bocca. Le sue conferenze stampa sono inascoltabili.

Altra cosa è Thomas Muster che nel ’75 mette fine al biennio di Bruguera. Ha dominato la stagione rossa. Vinto Montecarlo e Roma, come Nastase nel ’73. Nell’89 era stato investito da un ubriaco a Key Biscayne, gli aveva fracassato una gamba. Lo ricordo, lui che sarebbe venuto a vincere per tre volte il “mio torneo” di Firenze – mentre i soci si lamentavano perché, “uffa vince sempre lui”…anche quando era n.1 del mondo…I soci dei circoli sono tutti uguali, a loro dava fastidio di non poter entrare negli spogliatoi quando c’era il torneo!!!- che si allenava stando sdraiato su una panca, colpendo palla dopo palla, con la gamba malata stesa sulla panca. Una forza di volontà mostruosa. Di Muster, che non poteva sopportare il connazionale Skoff (e non perché lui avesse un flirt con Miss Universo…), lo battè in finale a Firenze e poi mi confessò: “Vorrei trovarmi da solo a solo in una stanza con Horst e picchiarlo fitto fitto!” Non potei offrirgli la stanza…ma è vero che Skoff, pace all’anima sua perché non c’è più, era tutto fuorché simpatico e gentiluomo.

E sono, faticosamente arrivato al ’96, ultima annata della mia seconda decade a Parigi sui 49 anni che ho coperto da inviato, compreso l’attuale.

Un’annata particolare perché finalmente Sampras, dopo tante delusioni “terraiole” riuscì a centrare la sua prima e unica semifinale a Parigi (dopo che nel ’94 aveva vinto Roma su una superficie che Franco Bartoni aveva reso velocissima per interrompere il dominio degli arrotini sudamericani): Sweet Pete battè Bruguera (e non l’avrei mai detto), Todd Martin e Courier (due ex campioni del Roland Garros) e confesso che facevo il tifo per lui…ma con Kafelnikov, che poi avrebbe vinto il torneo battendo Stich in finale, fece solo 8 game. Insomma rientrò nei ranghi. D’altra parte è uno che ha vinto 7 Wimbledon, e 14 Slam. La terra rossa non era per lui.

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