George Foreman e quella notte del 1989 a Phoenix... Un gigante non solo del pugilato

Tiratosi fuori da un’infanzia difficile grazie alla boxe, è stato un uomo dalle tante vite. Capace di rinascere e riprendersi il titolo dei pesi massimi a 45 anni

di LEO TURRINI
22 marzo 2025
George Foreman nel 1994 dopo l'incontro vinto con Michael Moorer che lo incoronò di nuovo campione dei pesi massimi (Ansa)

George Foreman nel 1994 dopo l'incontro vinto con Michael Moorer che lo incoronò di nuovo campione dei pesi massimi (Ansa)

Roma, 22 marzo 2025 – George a un certo punto si mise a gridare a centro ring: “I want Tyson”, datemi Tyson. Era una notte di giugno del 1989, stavamo in un hangar di Phoenix, Arizona. Foreman aveva una pancia enorme, da poco era tornato alla boxe dopo dieci anni di ritiro, dedicati a una vita da predicatore. Aveva appena battuto un mestierante sconosciuto. Ero lì per un Gp della Ferrari e andai a vederlo. La gente attorno applaudiva e rideva: davvero quel ciccione pretendeva di fare a pugni con Tyson, all’epoca re indiscusso dei massimi? Ma va là. E invece… Invece, pur senza mai incrociare i guantoni con Iron Mike, a George Foreman sarebbe riuscita la clamorosa impresa: nel 1994 (con 45 primavere sulle spalle!) riconquistò il titolo, demolendo un certo Moorer. Venti anni dopo averlo perso, il titolo, nella leggendaria notte (che poi, per via del fuso orario, era l’alba) di Kinshasa del ‘Rumble of The Jungle’, il duello iper mediatico con Ali. George Foreman si è spento a 76 anni, dopo aver conosciuto e consumato dentro una vita tante vite. Ma non troppe, perché il personaggio era grande non solo per la stazza. Storia simile a tanti monelli afroamericani, in un Texas mai gentile con chi non aveva la pelle bianca. Famiglia difficile, prospettive di carcere dietro l’angolo, la palestra come fuga verso la salvezza. E giù botte. Da orbi. Oro olimpico a Mexico68, l’inconsapevole George fu etichettato come uno Zio Tom perché nel giorno del trionfo sventolò la bandiera a stelle e strisce: poco prima i velocisti Smith e Carlos, suoi connazionali , avevano trasformato il podio dei 200 metri in protesta contro la discriminazione razziale negli States. Ma Foreman non era uno Zio Tom. Cercava risposte che non trovava, se non picchiando come un martello. Nel 1973 frantumò Frazier in Giamaica e si laureò campione del mondo dei massimi. Allora il pugilato era popolarissimo in ogni angolo del pianeta e George diventò famoso, adulato, ricco. Paradossalmente, fu una sconfitta a trasformarlo in una icona. Nella sua ingenuità George credeva di fare polpette anche di Ali, nella epocale battaglia africana. Era più giovane e più forte fisicamente. Ma finì al tappeto, perché l’ex Cassius Clay era semplicemente più intelligente. Su quel match sono stati scritti centinaia di libri, ci sono un paio di film e dozzine di documentari, eccetera. Fu un evento seminale, una catarsi, una Epifania dei sensi a suon di cazzotti. Nell’immediato, Foreman cercò alibi, inventò scuse, sospettò di essere stato tradito da manager infedeli. Poi però capì e non a caso fu uno degli amici migliori di Ali, per il quale spese parole meravigliose.Non era un disonore arrendersi al Più Grande. Il resto è roba da romanzo di Dumas. Nel 1977 disse di avere incontrato Dio e appese i guanti al chiodo. Si dedicò al recupero dei ragazzi in difficoltà, gestendo palestre e predicando nel nome del Signore. Siccome aveva bisogno di soldi e accumulava figli, nel 1987 riprese a combattere. Lo presero in giro e vi ho già raccontato come è finita. Smisero di considerarlo uno Zio Tom e non gli rinfacciarono più il kappao contro Ali. Lo amavano tutti, compravano gli hamburger che pubblicizzava, insomma quella notte in un hangar di Phoenix, quando andai a parlargli, aveva ragione lui. George Foreman è stato un gigante. In tutti i sensi.

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