Tamberi, il suo mental coach: "Il suo segreto? La forza interiore"
Luciano Sabbatini dopo l’oro ai Mondiali: "Ogni gara è una sfida a se stesso". Il super campione scherzoso ma pignolo: non lascio nulla al caso. E sul padre: "Non siamo più insieme, ma sono qui anche grazie a lui".
Budapest, 24 agosto 2023 – Pazzesco. Si può essere pazzeschi, fare imprese pazzesche, volare con un salto da 2.36 metri in equilibrio sopra la follia? Gianmarco Tamberi dice di sì. Definisce lui stesso "pazzesco" quello che ha fatto martedì a Budapest. Trasformando nell’oro mondiale del salto in alto la paura di non qualificarsi per la finale. Ribaltando anche un anno di transizione e di distacco dal padre ex allenatore. Fragilità trasformata in forza. Cresce così il personaggio-Gimbo. Iconico, tanto da aver fatto impazzire i social in tutto il mondo con le sue esultanze.
Ma qual è il segreto di Tamberi? Rimanere "me stesso". Dice così: "Dopo una qualificazione orrenda ho archiviato tutto e ho cercato quello che dico nei miei discorsi da capitano agli azzurri: credere che tutto è possibile e sognare in grande, alla fine è successo". Gimbo è arrivato al top fisicamente e tecnicamente, ma anche mentalmente, grazie al lavoro quasi decennale con Luciano Sabbatini, il suo mental coach. "La grande forza di Gianmarco è che riesce ad attingere a energie interiori come nessun altro e a trasformarle poi positivamente nel salto – racconta Sabbatini, 58 anni, anconetano –. Riesce inoltre a vivere in gara un senso della sfida verso se stesso e verso i suoi limiti, che è più forte della rivalità contro i suoi avversari. È arrivato al mondiale in una condizione ottimale". Un Tamberi scherzoso, ma alquanto pignolo: "Ogni aspetto cerco di non lasciarlo al caso, ma di svilupparlo", dice soddisfatto.
Ma l’attenzione è tutta sul rapporto col padre. "Dopo 12 anni il cambio di coach è avvenuto perché le cose non funzionavano più – aveva detto dopo aver vinto l’oro –. Ma sono qui anche per tutto quel che mi ha insegnato mio padre". E Sabbatini non è sorpreso: "Non mi ha stupito la dedica al padre, Gianmarco è consapevole di tutto il percorso che ha fatto, dove sicuramente il papà ha avuto un ruolo molto importante. È stato davvero un bel gesto". Ha elaborato il distacco, ne ha fatto un punto di forza. Sabbatini è il trait d’union tra il nuovo staff di Tamberi (coach Giulio Ciotti, preparatore atletico Michele Polloni, fisioterapista Andrea Battisti) e il “vecchio“ team. "C’è stata subito una condivisione completa del progetto, per il resto la leadership positiva di Gianmarco ha fatto il resto". D’altronde il mental coach conosce bene la testa di Tamberi: "Abbiamo iniziato a lavorare insieme nel 2014. L’incontro è stato in Medicina Riabilitativa dell’ospedale regionale di Torrette, ad Ancona, dove Gianmarco è venuto a fare esercitazioni preventive specifiche per il piede di stacco. Io già da anni proponevo alle atlete di volley che allenavo un percorso di allenamento mentale. Così ho proposto a Gianmarco se era interessato a lavorare su questi aspetti ‘invisibili’".
Detto, fatto. "Da lì è iniziato un percorso insieme che è stato incredibile. Non mi viene in mente altra parola se non incredibile. Un percorso che ha visto Gianmarco vincere tutto". Fino all’oro di Budapest. E, terminata la gara, Tamberi ha subito telefonato al suo mental coach: "Ci siamo detti: “Che spettacolo, una prestazione grandiosa“. L’ho ascoltato poi parlare alla squadra da capitano della Nazionale prima del mondiale. Onorato di lavorare con lui da 10 anni". Un personaggio pazzesco.
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