Omar Di Felice: “Io, in bici al Polo Sud tra ghiaccio e solitudine”
L’Antartide, l’uomo, la sfida. Il ciclista estremo si prepara all’impresa della vita. Una pedalata da 1.500 chilometri. "I pasti? Liofilizzati come agli astronauti".
Settanta giorni a tu per tu con le paure pedalando sul ‘Marte bianco’. "Amo la solitudine e il mio sport ne è la ricerca più perfetta", Omar Di Felice, 42 anni romano, ciclista estremo pronto all’impresa: attraversare il Polo Sud in sella a una bici. Migliaia di chilometri tra i ghiacci e temperature a meno quaranta, per lui "una sfida nella sfida", abituato com’è alle traversate in solitaria tutt’uno con le due ruote da corsa. Nel curriculum c’è anche la recente vittoria alla Tansamerica 2023, settemila chilometri percorsi in poco più di 18 giorni. E non è un caso che quando si parla di ultra-distanze in condizioni climatiche improbe si pensi all’Antartide, l’inferno di ghiaccio diventato la palestra degli astronauti.
Di Felice, quant’è dura convivere con le proprie paure davanti a un’interminabile distesa di ghiaccio?
"Il trucco è avere un buon rapporto con se stessi. Sono un ciclista estremo, per via del mio lavoro vado a caccia della solitudine, quasi fosse una comfort zone, per me è diventata un’attitudine".
Quindi, a parte l’impresa fisica qual è la sfida più grande?
"Lo scoprirò. Sono curioso di mettermi alla prova in qualcosa che non ho mai fatto: saremo io, la mia bici, una piccola slitta con tutto l’occorrente e i miei viveri. Ho con me un telefono satellitare e un modem pesantissimo: le comunicazioni saranno difficili e disturbate, ma ogni giorno darò notizie al mio team e all’agenzia che segue le imprese sportive in Antartide".
Cosa l’ha spinta a lanciarsi in un’impresa così pericolosa?
"La mia carriere di ultraciclista è iniziata 12 anni fa, quando ho interrotto quella di ciclista professionista tradizionale. Da quel momento gare e competizioni estreme sono diventate il mio pane quotidiano, con una particolare passione per i climi dal freddo estremo. Uno su tutti l’Antartide: gelato e inaccessibile. Poi c’è un secondo fine, quello della divulgazione ambientale in collaborazione con l’Esa, l’agenzia spaziale europea".
Qual è il percorso tracciato sulla mappa?
"Partirò dalla costa Hercules Inlet, nella punta meridionale del Sud America. Da lì saranno 1.200 chilometri verso il Polo Sud. A quel punto, se riuscirò ad arrivare, tirerò dritto fino al Leverett Glacier, per poi tornare indietro".
E il condizionale è d’obbligo…
"Esatto, l’anno scorso tentai il viaggio per la prima volta. Ma un problema familiare mi costrinse a tornare a casa dopo appena una decina di giorni".
Lei sarà sempre allenato, ma in linea generale cosa vuol dire prepararsi a un’impresa del genere?
"Quest’anno vengo da una preparazione importante fatta in occasione della Transamerica. Dopo la vittoria ho fatto circa un mese di recupero e da agosto ho iniziato il lavoro per l’Antartide. Si tratta di un allenamento a tutto corpo, considerando che dovrò trascinarmi dietro, per circa 1,500 chilometri una slitta con tutto l’occorrente per sopravvivere".
Qual è il suo equipaggiamento?
"La bicicletta è una ‘fat bike’ dalle ruote piuttosto larghe e anche chiodate, così da far presa sui ghiacci. Nella slitta, invece, ci saranno viveri, vestiti, fornelletti e ogni tipo di attrezzo per far fronte ai possibili guasti meccanici".
A parte il freddo, il cibo, su un’immensa distesa di ghiaccio forse può essere il problema principale.
"Avrò con me dei pasti liofilizzati, proprio come quelli degli astronauti, da rigenerare con acqua calda, ottenuta facendo fondere la neve sul fornelletto. Per non eccedere nel peso, le risorse sono calcolate e contate in base a quante calorie potrei andare a bruciare ogni giorno di viggio".
A casa l’aspetteranno per oltre due mesi, cosa le dicono vista l’impresa?
"Mi supportano in tutto e per tutto, d’altra parte chi fa quello che faccio io, accanto ha bisogno di qualcuno che sappia capirlo".
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