L’insegnamento di Sakara: "Così ho aiutato Berrettini. Rimettersi in gioco si può"

Il lottatore italiano di MMA si racconta fra libri, cinema e il ritorno alle competizioni "Per un atleta il corpo non deve mai essere un ostacolo se ama ciò che fa".

di GABRIELE TASSI -
23 marzo 2024

Se la vita può colpire duro più di un peso massimo "devi prendere forza e capire che puoi rimetterti in gioco". Oltre di vent’anni fa Alessio Sakara, un certo ragazzo di Pomezia oggi diviso fra ’ring’, libri, tv e cinema decise di incanalare la sua "rabbia" nella Mma. Uno contro uno, un mix esplosivo di pugilato Judo, karaté, Muay thai, lotta libera, e kickboxing. Il tutto all’interno di una vera e propria gabbia. "Venivo dalle case popolari, ho avuto delusioni grandi che mi portavano a essere una persona un po’ irascibile, poi ho incontrato Silvano, il mio maestro". Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata, Alessio (42 anni), è diventato il pioniere italiano delle arti marziali miste, il primo ragazzo venuto dal Bel Paese a competere (nel 2005) nella prestigiosa Ufc. Quel ragazzo che ha ancora voglia di combattere, allena gli atleti del futuro, aiuta gli sportivi – e non solo– a risorgere dalle proprie ceneri (lo ha fatto di recente con Matteo Berrettini, che lo ha ringraziato pubblicamente) e ha riversato in un libro, ’Quando il gioco si fa duro’ (edito da Roi edizioni) la filosofia del combattente.

Sakara, come si passa dal ring all’inchiostro?

"La scintilla si è accesa qualche anno fa, quando ho iniziato a parlare di bullismo nelle scuole. Tanti mi chiedevano consigli, qualcuno sportivo, qualcuno su come superare le difficoltà della vita. Così ho pensato di mettere nero su bianco l’esempio di una team di altissimo livello come è il mio. Avere una squadra di persone te care e valide vuol dire avere un appoggio nei momenti di difficoltà, quando il gioco si fa duro nello sport come nella vita di tutti i giorni".

Secondo lei lo sport ha qualcosa da insegnarci?

"Insegna disciplina, perseveranza e rispetto, sono valori che porta sempre con sé. Questa è una delle cose più importanti. A dimostrarlo c’è una grande quantità di persone, non atleti professionisti, che sceglie di fare pre-pugilistica e va ad allenarsi in palestra perché si è innamorata di questi valori così puri".

Ma come si diventa lottatori di Mma?

"Il nostro è uno sport ancora molto indietro in Italia. Oggi però da qui si può cominciare un cammino, a differenza di quando ho iniziato io nel 2000. Si possono gettare ottime basi per poi andare all’estero. Inoltre adesso ci sono moltissimi atleti nel mondo, ci sono tantissimi eventi e prima era solo uno, e sono cresciute tantissime palestre. Pensate che nel 2000 non c’era nemmeno internet, ma solo le pagine gialle, è più facile organizzarsi. Io sono partito con le valigie di cartone".

E lei? Cosa l’ha spinta a fare questo sport?

"Mi arrivò una videocassetta con le immagini di alcuni lottatori brasiliani di Mma, e mi sono innamorato subito di questo sport. Ero un pugile, sapevo che poteva incanalare la rabbia che avevo dentro. All’epoca era valido tutto (ora le regole sono molto più severe, ndr), potevo permettermi tutto, e mi piaceva l’idea di essere il primo italiano a tentare questa strada".

E così è finito in Brasile, cosa si porta dietro di quell’esperienza?

"La cosa più sorprendente era l’allegria di quella gente, l’essere sempre felici e ben disposti. Avevano sempre il sorriso sulle labbra, nonostante sport e allenamenti fossero durissimi. Sono andato là per imparare dai migliori, e dopo cinque anni sono riuscito a entrare nella Ufc americana".

Lo sport è cambiato da allora?

"Una volta si andava in una palestra diversa per allenare ogni tipo di specialità. Ora si riesce a fare un lavoro d’insieme grazie alle tante persone che nei primi anni duemila combattevano e adesso hanno sviluppato un metodo di lavoro dedicato all’Mma".

Che consiglia darebbe a chi vuole iniziare?

"La prima cosa è trovare una buona palestra. Poi bisogna mettersi a testa bassa: pochi social e distrazioni. Serve tanto lavoro per poi andare all’estero. L’Italia può essere il trampolino di lancio".

Il tennista Matteo Berrettini in una recente intervista ha detto che lo hai aiutato molto nel suo percorso di ripresa dopo l’infortunio. Come?

"C’è stima fra noi, io faccio uno sport in cui le lesioni sono all’ordine del giorno. Bisogna arrivare a capire che il proprio corpo non deve mai essere un ostacolo: se ami quello che fai devi prendere forza e capire che puoi rimetterti in gioco. Soprattutto nel tennis, per me lo sport più duro a livello mentale assieme a quelli automobilistici".

Da ’Pechino Express’ a ’Tu si que vales’, poi i film come il recente ’The Cage’. Come si intersecano le sue carriere fra spettacolo e sport?

"La mia carriera nello spettacolo per fortuna è iniziata che avevo già un nome: all’inizio non avrei potuto farlo perché dovevo combattere ogni volta che mi chiamavano. Ora invece ho periodi in cui posso staccare e dedicarmi alle riprese. A breve potrei tornare a combattere. Dopo questo ultimo incontro vedrò cosa fare, dando più spazio a tv e cinema".

Lei ha iniziato una lotta al bullismo nelle scuole, perché è importante sensibilizzare i ragazzi? E’ cambiato qualcosa rispetto a un tempo?

"Difficile dire se sia in aumento o no. Di certo una volta i social non c’erano, e non c’era nemmeno il Cyberbullismo. Quando parlo con i ragazzi dico sempre una cosa: il problema è come vengono educati a casa, è un po’ come andare a scuola guida. Telefonini e social vanno usati ma così che non diventino un’arma".

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