"Nessuno ha forzato Gimbo, adesso si fermi"
La madre di Tamberi dopo lo sfogo contro il padre: "Era portato per il salto in alto, non è stato obbligato. Los Angeles? Spero di no"
Non è mai facile stare sotto i riflettori e davanti alle telecamere a parlare della propria vita, anche quella da star, incalzati dalle domande di Francesca Fagnani a Belve. L’altra sera è toccato a Gianmarco Tamberi, il campione di salto in alto e portabandiera a Parigi (e da ieri anche dottore: ha ricevuto la laurea honoris causa in Scienze dello Sport all’Università di Urbino). Ne è uscita una lunga confessione in cui Gimbo è tornato sul rapporto burrascoso con il padre Marco, che lo ha allenato fino a un anno fa, e sul fatto di aver ’dovuto’ scegliere l’atletica invece che l’amato basket. Mamma Sabrina si dichiara molto dispiaciuta della situazione e, nonostante Gimbo, nel frattempo, prenda in considerazione la partecipazione alle prossime Olimpiadi di Los Angeles 2028, lei spera che il figlio appenda gli scarpini al chiodo. E che, magari, nel tempo libero vada a giocare a pallacanestro.
Sabrina Piastrellini, a cosa ha pensato quando Gianmarco è tornato a parlare del padre?
"Mi è dispiaciuto molto. Perché un genitore è unico ed è per sempre. Il fatto che loro si siano bruciati già due anni della loro vita non è bello, è una sofferenza sia per l’uno che per l’altro. Le colpe, come nei matrimoni, sono sempre a metà. Marco tutto quello che ha fatto non lo ha fatto per cattiveria, ma per il suo carattere. Non si possono cambiare i genitori, bisogna accettarli e prenderli come sono. Poi, ovviamente, da grande ognuno prende la sua strada. Non è stata una famiglia disastrata, la nostra, solo una con un padre dal carattere molto particolare".
Per suo figlio la scelta di fare salto in alto, invece del basket, è stata così sofferta?
"Sì, è stata veramente così dura. Ma io ho appoggiato il padre. Vedevo che aveva un grande talento, d’altro canto anch’io insegno scienze motorie a scuola e mi rendo conto di quando uno ha un talento piuttosto che un altro. La sua spinta dei piedi, la reattività era molto evidente".
Però poi negli anni Gianmarco ha vinto tutto. Non dovrebbe essergli passata?
"Sì, dovrebbe. Ma siccome lui un po’ come carattere porta rancore, è probabile che quando gli si toccano queste corde, allora tutto torna fuori. Ma alla fine è stato sempre lui a scegliere. Obbligato? No. Anche se quando a un figlio cerchi di far capire certe cose, magari lo fai un po’ con insistenza".
Sembra che i traguardi raggiunti non l’abbiano ripagato della scelta.
"Gli rimane un po’ di amaro. Lui è un giocherellone e questi anni di sacrificio senza il suo gioco sono stati più pesanti rispetto a chi non prova frustrazione". Ora Gianmarco pensa a Los Angeles. Lei spera che continui?
"Io spero di no. Istintivamente. Ha tante altre capacità, da poter sviluppare, ha raggiunto veramente tanto. Mi auguro che possa riuscire a fare d’ora in poi un percorso che gli piace, facendo tesoro di quello che ha fatto finora. Basta con le tribolazioni, con le sofferenze. Le delusioni ci saranno comunque, nella vita, ma le sofferenze dobbiamo imparare a superarle. Gli auguro una vita serena. Senza il salto in alto".
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