Quesada, l’Italia del rugby s’è desta: "Lavoro, studio, amicizia. La Nazionale merita tutto"

Il ct azzurro ha subito centrato il miglior Sei Nazioni della nostra storia. "Mi piace avere un impatto: ho l’animo latino, ma mi applico all’anglosassone"

di PAOLO GRILLI -
20 aprile 2024
Gonzalo Quesada, argentino di 49 anni: dal 1° gennaio 2024 è il commissario tecnico della nazionale italiana di rugby

Gonzalo Quesada, argentino di 49 anni: dal 1° gennaio 2024 è il commissario tecnico della nazionale italiana di rugby

Roma, 20 aprile 2024 – Quando calcava i campi con i Pumas – miglior marcatore del Mondiale 1999 come mediano d’apertura dell’Argentina – era “Speedy Gonzalo“. La velocità non gli difetta mai: alla prima stagione da ct dell’Italrugby ha subito firmato il miglior Sei Nazioni della storia azzurra (tre risultati utili di fila, con due vittorie) moltiplicando sogni e fiducia per la nostra palla ovale. E poi, in una manciata di mesi ha imparato l’italiano in maniera sorprendente.

Gonzalo Quesada, orgogliosamente argentino e altrettanto fieramente giramondo, somiglia molto all’identikit di Re Mida per il nostro movimento.

"Sì, abbiamo avuto poco tempo per preparare il Sei Nazioni – conferma –. Il risultato complessivo è stato una bella soddisfazione per me. Dopo il mio arrivo ho ascoltato, scoperto, passato tempo con la squadra e lo staff. Ho proposto una nuova metodologia di lavoro, promuovendo una nostra identità, uno stile di gioco. Tutti devono essere coinvolti per sviluppare un’idea generale".

L’Italia è sembrata fare un doppio passo in avanti, nell’ultimo torneo.

"Abbiamo trovato un modo di difendere, poi di attaccare con il gioco al piede, seguendo una strategia senza però perdere il Dna della squadra. La vera conquista: capire che di sfida in sfida avremmo potuto fare ancora meglio".

Dove può arrivare questa Nazionale?

"Ora è ancora più dura, perché c’è da confermarsi e progredire nuovamente. In estate faremo test match anche contro Samoa e Tonga, sui loro campi che sono difficili per tutti. Non so quanto vinceremo, ma so già quello che dovremo migliorare in difesa, in attacco, essendo più precisi nelle varie fasi di gioco".

La squadra sembra recepire bene le sue direttive.

"Ho vissuto venticinque anni in Argentina e venticinque in Francia. Quando sono arrivato qui non conoscevo quasi una parola di italiano. Ma come allenatore la comunicazione è importantissima. Per me è una questione di rispetto: se devo guidare l’Italia, allora la lingua della squadra deve rimanere sempre l’italiano. Non sempre è così, quando c’è un ct straniero. Sono io a dovermi adattare, non viceversa. Durante i due mesi del Mondiale, prima di iniziare il mio incarico, ho preso subito molte lezioni".

Lei è anche laureato in economia.

"Sì, poi in Francia ho preso un diploma in psicologia dello sport, per essere più preparato anche come mental coach al di là degli aspetti tecnici e tattici del nostro sport. La leadership e il management sono temi che mi piacciono tanto. Ho una visione anglosassone del lavoro, ma sono e resto argentino, di cultura latina".

Che impressione le ha fatto il nostro Paese?

"Trovo che l’Italia sia dal punto di vista culturale una via di mezzo fra l’Argentina, dove tutto è sempre un po’ incasinato, e la Francia, dove la vita è più strutturata. Vivo vicino a Milano per poter andare frequentemente a Parma e a Treviso a seguire i match. Mia moglie Liga, poi, qui ha opportunità di lavoro e anche amiche. Viaggio molto e osservo. Trovo che gli italiani abbiano molto in comune con gli argentini, mi piace quanto credano nell’amicizia".

Avrà già eletto il suo piatto preferito.

"Mi viene in mente subito la pasta, ma sarebbe un cliché. E allora dico la cotoletta: l’ho gustata in un piatto con melanzane e formaggio. Una vera bomba".

Quali sono gli hobby di un ct?

"Il cavallo e il polo, da sempre. Dovrei dedicarmici anche qui in Italia, ma non è facile organizzare il poco tempo a disposizione. In generale, andare a cavallo e giocare a polo ha per me l’effetto di uno psicologo. Riesco a staccarmi dai tanti pensieri".

Perché un bambino dovrebbe iniziare a giocare a rugby?

"Perché è una scuola di vita, è un vero metodo di formazione umana. E’ uno sport per l’educazione di bambini e bambine. Promuove veri valori e in questo aiuta molto i genitori. Chi gioca impara ad agire in gruppo, ad essere generoso, a dare più che a ricevere. Il rugby è stato l’asse della mia vita, da quando ho iniziato a otto anni. Chi ho conosciuto sul campo a quell’età è diventato mio amico per sempre. Per me il rugby ha rappresentato un’opportunità incredibile e non me lo scordo mai".

Accettando l’incarico con l’Italia non ha certo affrontato una sfida facile.

"Ho sempre scelto dove poter crescere come allenatore e come persona. Allo Stade Français in ricostruzione siamo tornati a essere campioni. Ho accettato di andare in seconda divisione francese, a Biarritz, per una nuova missione di sviluppo. E così ai Jaguares, in Argentina, e nuovamente allo Stade Français che era ultimo nel periodo del Covid. Per me è un onore allenare l’Italia, un’opportunità enorme. Mi piace poter avere un impatto col mio lavoro. Ho detto subito sì al progetto del direttore tecnico Daniele Pacini e del presidente federale Marzio Innocenti".

I pregi e i difetti di Gonzalo Quesada.

"Non credo che siano aspetti così distinti (sorride, ndr). Il mio punto di forza è poi anche il mio limite: voglio agire sempre al meglio delle mie possibilità e sono quindi molto esigente con me stesso, e anche con gli altri. Ma credo che sia indispensabile per crescere e lavorare bene. Do molto valore alla preparazione, allo studio. Ci metto sempre passione, credo che sia fondamentale creare empatia nel gruppo. Certo, forse dovrei essere meno stacanovista, trovare un po’ di tempo anche per me".

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