Rugby, il mio campo libero. Una meta in contropiede: "Così siamo noi stesse»

Tonna, coordinatrice del settore femminile della Fir: "Esordii in azzurro a 15 anni. Ci sono stati passi avanti nella mentalità, ma nei fatti vogliamo molto di più". .

di PAOLO GRILLI -
24 marzo 2024

Maria Cristina Tonna ha già contribuito a scrivere una pagina del rugby azzurro, quando a soli 15 anni debuttò nella prima partita dell’Italdonne, lo 0-0 contro la Francia del 22 giugno 1985 al ’Nicoletti’ di Riccione. Ora, come coordinatrice del settore femminile della Federazione, ogni giorno insegue tante altre mete, senza mai fermarsi.

Cosa portò una ragazzina a gettarsi letteralmente nella mischia, mettendosi alla prova in uno sport quasi sconosciuto all’universo femminile, per non dire sconsigliato?

"Forse c’era un po’ di inconsapevolezza in quello che stavo facendo, ma del resto ero cresciuta in maniera libera e serena, accanto ai miei fratelli quasi coetanei che di fatto ho imitato giocando a rugby. I condizionamenti culturali erano forti in quell’epoca, ma già si respirava un’aria diversa. Non ero una bambina attenta ai capelli, ai vestiti. Si giocava tutti per strada, anche a pallone. E non mi facevo intimidire, ricordo che difendevo gli animali dalle cattiverie di alcuni ragazzi".

In poco tempo arrivò fino alla Nazionale, a quel pareggio mitico da cui partì tutti.

"Poter giocare contro la Francia era per noi come andare sulla luna. Un sogno. La nostra federazione non riconosceva ancora il movimento femminile. La partita finì 0-0 e ci diede la spinta a proseguire, ma non c’era ancora un disegno".

Non fu facile nemmeno mettere insieme un gruppo.

"Erano pochissime le ragazze che giocavano in Italia. Io andavo a scuola a Roma, poi per allenarmi mi recavo a Villa Pamphili. Il campo si faceva con le fettucce. L’atmosfera era quella delle cose fatte in casa, un po’ romantiche. Ci autofinanziavamo per dormire in hotel...".

Ora l’Italia ha un’altra dimensione.

"Il Sei Nazioni ha dato una visibilità del tutto diversa. Grandi passi avanti sono stati fatti per il mostro movimento dal 2007. E il Covid ha segnato un altro momento per la crescita. Dal punto di vista commerciale si sta spingendo, e finalmente c’è la visione di poter reclutare ragazze per questo sport. C’è un’inclusività maggiore, anche se poi il concetto è una cosa, il valore quotidiano dei fatti un’altra".

Quante sono oggi le rugbiste tesserate in Italia?

"Circa 5.000, non tante. A livello di squadre siamo stabili. La Serie A Elite è a 8 squadre, con l’intenzione però di arrivare fino a due in più. Bisognerà insistere sul mini rugby, con società più eque a livello di genere. Si deve puntare su una filiera femminile partendo dall’Under 14, fIno a dodici anni invece si gioca ancora tutti insieme".

Come può il rugby appassionare una ragazza?

"Io ricordo ancora, come se fosse ora, la sensazione di energia e libertà che avvertii vedendo per la prima volta mio fratello giocare. Il bello del rugby è che consente a tante personalità diverse di potersi esprimere, in ruoli e situazioni particolari. E si sviluppa poi un senso di appartenenza che appartiene a sfere alte. Un’alchimia: chi indossa maglie da rugby, in giro per il mondo, crea una comunità. Quando entri nello spogliatoio passa tutto, anche il peggior nemivo diventa tuo compagno. Il terzo tempo? Se ne dà un’immagine godereccia. Ed è invece interscambio. Con i compagni e gli avversari si mette sul tavolo tutto. E’ un momento di vero dialogo".

Cosa replica a chi sostiene che il rugby sia poco femminile?

"Ognuno esprime il proprio essere donna a seconda della propria personalità. E poi il rugby ti dà un’eterna giovinezza. E’ bellissimo vedere donne che non incarnano i canoni rigidi imposti dalla società e riescono ad essere se stesse. Nello sport, poi, emerge il valore".

La sua è anche una storia sportiva di rivalsa?

"E’ stata anche questo. Una bambina deve essere libera di fare qualsiasi sport. Io a tredici anni, quando entrai in questo mondo, subii vessazioni. Non ero accettata, c’era un ragazzo capitano della squadra che si toglieva la maglietta quando mi vedeva arrivare in campo per giocare. Con la mia prima partita in azzurro sentii di avere iniziato una stupenda avventura, con una visione di libertà".

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