L’Italia dello sport è sempre meglio del Paese reale
Un popolo di eroi, santi, navigatori e ovviamente tennisti: il 2024 è stato l’anno della racchetta
D’accordo, siamo tutti Jannik Sinner. Un popolo di eroi, santi, navigatori e ovviamente tennisti: tra Grande Slam, Davis, King Cup, oro olimpico di Errani e Paolini più varie ed eventuali, insomma, nulla da obiettare: il 2024 è stato l’anno della racchetta. Ma poi. Poi, senza avere la pretesa di essere originali (pretesa che è l’alibi dei noiosi), conviene dire subito che l’Italia dello sport, in generale, è meglio dell’Italia “ufficiale”, di Sistema. Perché tra stadi, piste, strade, pedane e palestre esiste ancora quella voglia di scommettere sul futuro che il resto della nostra Società invece ha perduto. Se non del tutto, in buona parte.
Perché non c’è solo il boom del tennis. Prendete la ginnastica di Alice D’Amato: è un’altra disciplina dove alla capacità di reclutamento si è sommata la cultura di chi insegna l’agonismo. La formazione degli istruttori è fondamentale per superare le barriere della burocrazia: cioè il talento non si inventa, è naturale, ma può ben essere alimentato, addestrato, trasformato in modello virtuoso. L’esempio sublimante lo ha fornito Julio Velasco, un maestro che era stato dimenticato da tanti. Ultra settantenne, gli hanno dato in mano la Nazionale di volley femminile. Record di tesserate da generazioni, non c’è praticamente famiglia d’Italia in cui una bambina non abbia giocato a pallavolo: ma ci voleva il leader giusto per conquistare l’oro olimpico (tra l’altro, con un merito in più: per due settimane Paola Egonu si è staccata dai social, non di rado la lebbra del mondo post moderno).
Eh, lo so: alla fine della fiera, per il grande pubblico contano esclusivamente i risultati. Ed è anche giusto, intendiamoci. L’Olimpiade di Parigi ha trionfato nell’immaginario collettivo perché Azzurre e Azzurri non la smettevano di salire sul podio. Sarebbe ipocrita negare che vincere aiuta a convincere: ma non può, il successo, essere l’unico valore. Benny Pilato non ha preso medaglia, ai Giochi. Ma il quarto posto della ragazza di Taranto conta tanto, idealmente non meno dei trionfi di Ceccon e Martinenghi e della resilienza dell’eterno Greg Paltrinieri. L’atletica non ha replicato le imprese di Tokyo, ma chi negherebbe a Nadia Battocletti l’aureola di Santa del podismo?
Mi sto rendendo conto giusto adesso che narrare di sport significa, sempre più spesso, parlare e scrivere di donne: a conferma dell’ assunto di partenza. L’Italia dell’agonismo è molto più avanti in termini di inclusione e integrazione, nel rifiuto di ogni discriminazione: leggi alla voce Paralimpiade se serve una ulteriore consapevolezza.
Del resto, come cantava Franco Battiato, non è colpa mia se esistono spettacoli con fumi e raggi laser! Il calcio, oppio dei maschi, dopo lo scudetto Inter e l’Eurocoppa della Atalanta ha rovinosamente fallito l’Europeo e chissà se ci qualificheremo per il prossimo Mondiale. Mondiale che la Ferrari continua inesorabilmente a perdere e che sulle due ruote ha perso pure Bagnaia. Ma fa niente, c’è ancora vita dietro l’angolo. E già, e già, noi siamo ancora qua. Buon Anno.
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