Una nazionale senza patria: "Ma siamo liberi"

La squadra dei rifugiati conta su 37 atleti scappati da guerre e dittature. Lotta libera e taekwondo, due iraniani adottati dall’Italia

di DORIANO RABOTTI -
26 luglio 2024
Una nazionale senza patria: "Ma siamo liberi"

Imam Mahadavi è fuggito dall’Iran ed è arrivato in Italia: a Parigi gareggerà nella lotta libera

Questa è la storia della nazionale che non c’è, eppure gareggia. Di ragazzi che hanno perso la patria, ma non hanno smesso di sognarla. È la storia del team dei rifugiati, una squadra voluta con scelta ovviamente politica da parte del Cio, oggi sfilerà per seconda subito dopo la Grecia nella cerimonia lungo la Senna. In tutto, in 12 discipline, ci saranno 37 atleti, fuggiti in modo spesso rocambolesco da Iran, Afghanistan, Sud Sudan, Eritrea, Camerun, Congo, Cuba, Venezuela, Darfur, Etiopia, terre di guerre o di regimi totalitari. 23 uomini e quattro donne, quasi la metà proveniente dall’Iran.

Il Team refugees non è al debutto: la prima volta fu otto anni fa a Rio, stavolta il Cio fornisce un supporto strutturato. Il gruppo ha lavorato a Bayeux in Normandia prima di spostarsi a Parigi.

In comune oltre a una bandiera che non esiste e non può scaldare il cuore come quella dei Paesi da cui sono scappati, questi atleti hanno soprattutto una cosa: la sofferenza. Qualcuno è scappato a piedi percorrendo migliaia di chilometri, qualcuno è passato per i campi profughi, tutti hanno abbandonato una patria che amano sperando un giorno di poter tornare. Ma nel frattempo, per inseguire il sogno olimpico di una partecipazione, parola che mai come in questo caso assume il suo significato pieno, sono dovuti partire.

Due di loro ora vivono in Italia, entrambi arrivati dall’Iran: c’è il lottatore Iman Mahdavi, che a Milano fa il buttafuori in una discoteca, e lo specialista del taekwondo Hadi Tiranvalipour, che invece sta a Roma e si allena con il nostro Vito Dell’Aquila.

Mahadavi ha di non avere problemi di natura politica: "Sono un uomo libero. Se incrocerò un lottatore israeliano, lo affronterò perché per me è solo un avversario. Non un nemico". Partito quattro anni fa da Mazandaran, su Mar Caspio, per trovare la libertà è arrivato a piedi dopo oltre due mila chilometri a Milano: "Sono andato via nel 2020 perché volevo seguire la mia via, cercare semplicemente una vita migliore e inseguire il sogno di diventare un lottatore e rimanere libero". Compresa la scelta di combattere contro gli israeliani, se sarà necessario: il governo di Teheran ha vietato ai suoi di farlo. Gareggerà nei 74 chili della lotta libera, è allenato dal moldavo Victor Cazacu, tesserato per il Lotta Club Seggiano e potrebbe trovarsi a dover sfidare il nostro Frank Chamizo.

Victor gli ha procurato un lavoro nella security in una delle discoteche vip milanesi. "Ho foto con Belen e tanti calciatori".

L’altro ’italiano’, Hadi Tiravalipour, ha passato i primi dieci giorni in Italia dormendo in un bosco. Ora si allena con Dell’Aquila e gareggerà nella stessa categoria, i 58 kg. Dice di sentire la spinta dei 120 milioni di rifugiati: "Non siamo atleti come tutti gli altri, abbiamo una vita difficile lontani dalle nostre famiglie. È per questo che ci tengo ad essere un buon esempio. Non abbiamo una bandiera, ma rappresentiamo tutti quelli come noi – ha raccontato a insidethegames –. Se hai un sogno devi insistere, questa è la nostra responsabilità nei confronti degli altri rifugiati".

Del gruppo fanno parte anche Farida Abaroge, cintura nera di karate e calciatrice, scappata a piedi dall’Etiopia fino alla Francia: a Parigi farà i 1.500. Farzad Mansouri invece è stato portabandiera dell’Afghanistan a Tokyo, ha 23 anni e anche lui gareggia nel taekwondo. È passato per il campo profughi di Abu Dhabi e ha ottenuto asilo nel Regno Unito: un compagno di squadra a Tokyo, Mohammed Sultani, morì in un attentato suicida all’aeroporto di Kabul. Da Cuba è fuggito il sollevatore di pesi Ramiro Mora, nascondendosi in un circo itinerante prima di arrivare a Parigi. La breakdance è sempre stata la passione di Maniza Talash, 21 anni: fino a quando ne aveva 17 anni a Kabul era obbligata a sfogarsi a porte chiuse. Sul ring salirà Cindy Ngamba, fuggita a Bristol, in Inghilterra, dal Camerun dove la sua omosessualità è considerata un reato. Potrebbe anche prendere una medaglia. Cindy oggi sarà la portabandiera del team con Yahya Al-Ghotani, siriano fuggito dalla guerra: ha imparato il Taekwondo in un campo profughi in Giordania.

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