Vanni, la rivoluzione parte dalla tradizione

Dopo dieci anni alle nazionali paralimpiche, raccoglie l’eredità del totem Cerioni: "Possiamo innovare rispettando la storia"

di DORIANO RABOTTI
19 marzo 2025
La festa della squadra del fioretto per il successo al Cairo, Vanni è il primo da destra (Bizzi-Federscherma)

La festa della squadra del fioretto per il successo al Cairo, Vanni è il primo da destra (Bizzi-Federscherma)

Abituato ad affrontare la vita a stoccate, Simone Vanni non è certo il tipo che si lascia intimidire dal passato. Ma il nuovo ct delle nazionali di fioretto sa benissimo che l’eredità che la federscherma gli ha affidato è di quelle complicatissime da maneggiare. Perché Vanni, che comunque ha alle spalle anni da ct del fioretto paralimpico, arriva dopo un totem come Stefano Cerioni, che a più riprese ha diretto la fabbrica dell’oro.

Vanni, che cosa porterà dalla sua esperienza alla guida della nazionale paralimpica?

"La scherma è sempre scherma, anche se ovviamente a livello tecnico le cose cambiano, non c’è bisogno di spiegare la differenza tra chi tira da seduto o ha la spinta delle gambe. Di sicuro mi porterò dieci anni di esperienza di gestione di un gruppo e dei maestri in un settore in via di sviluppo, è stato qualcosa di pionieristico. Abbiamo cercato con gli altri ct di portare un gruppo paralimpico al professionismo, in pedana e fuori".

La psicologia cambia?

"Qualcosina, ma l’atleta di alto livello lo è in tutti gli sport. Ha bisogno di attenzione, ma con qualche differenza, le dinamiche spesso sono le stesse".

Un atleta paralimpico sembra già molto motivato, e per fortuna ha superato il pudore nel mostrarsi in pubblico, anzi.

"Chi arriva al livello di una nazionale quel lavoro su se stesso l’ha già fatto, anzi. Spesso vuole mostrare il suo orgoglio: non di essere disabile, ma di aver superato l’impedimento. Poi c’è una parte egocentrica, quella spesso è la forza di un atleta, a tutti i livelli, e non ha senso levarla. Noi non dobbiamo frenare, né stimolare, solo aiutare a usare la voglia di emergere nel modo opportuno. Senza portare il motore della macchina fuori giri".

Bebe Vio è il vulcano che sembra vista da fuori?

"È esattamente come sembra, una persona di altissimo livello che spinge i suoi allenatori e i suoi compagni a dare sempre il massimo in gara e in allenamento, un motore importantissimo con l’esempio, non a parole".

Voi ct allenate maschile e femminile. Ci sono differenze?

"No, il mio concetto è un pochino diverso, poi si vedrà nel quadriennio se le mie scelte sono giuste ovviamente. Ma non farei una distinzione tra maschi e femmine, è grossolana. Io la farei tra ogni individuo, ha caratteristiche che io devo essere in grado di capire e pungolare in modo da fargli dare il massimo. Indipendentemente dal fatto che sia maschio o femmina. L’esperienza paralimpica mi ha insegnato che ogni atleta è un singolo con un vissuto diverso da quello dei compagni".

Singoli che il giorno dopo essere stati rivali, devono fare squadra.

"Vero, però anche quando si manifesta nella competizione individuale, la scherma esprime grandissimi concetti del lavoro di squadra. Nessuno schermidore si può allenare da solo, ha bisogno di stare con i compagni che poi saranno avversari. Gli allenamenti mi serviranno nella composizione delle squadre e nel far capire l’importanza di aiutarsi. Spiegherò che io non convoco i singoli, convoco l’Italia".

Lei ha vinto l’oro olimpico a squadre ad Atene. Essere un ex atleta aiuta, o a volte penalizza un tecnico?

"È un bonus perché quelle stesse pedane le ho calcate, quelle sensazioni le ho vissute, comprese le paure che ho interiorizzato prima di loro. Ma se pensassi che quello che andava bene per me vada bene per gli altri, farei un errore madornale".

Vanni, lei prende il posto di un mostro sacro come Cerioni.

"È innegabile che il lavoro fatto da Stefano sia eccezionale, l’ho anche avuto nei suoi primi anni da ct ed è un grandissimo. Io ho le mie idee e nel tempo vorrei portarle, non esiste solo un modo per fare bene le cose. Comunque partiamo da un livello alto perché lui ha fatto un lavoro eccelso e va ringraziato".

Sa che chi allena il Dream Team ha la pressione di dover vincere sempre? È così ormai da quarant’anni...

"Onestamente non ho mai fatto una gara senza pressione, se non la vogliamo abbiamo sbagliato sport. Stefano mi consegna un gruppo molto solido. È una macchina potente, ma è meglio questa pressione di quella per non arrivare ultimi..."

Lei è pisano, in uno sport che ha radici storiche nei campanili, da Livorno a Jesi a Frascati...Che cosa porterà della sua ’pisanità’?

"Spero di portare la grande voglia di emergere di tutte queste città. Non sono piccoli centri, perché ospitano grandi società se si contano le medaglie. Ma voglio portare anche qualcosa di nuovo, l’attenzione al non fermarsi sulle cose che abbiamo sempre fatto così. L’innovazione può aiutare la tradizione per arrivare a una crescita generale, penso alla tecnologia e al lavoro che faremo con Scienze dello sport".

Continua a leggere tutte le notizie di sport su