L’Arabia tenta tutti i big: ma deve evitare l’effetto Cina

Risorse infinite per attrarre i campioni come Ronaldo, Benzema e Kanté, ma c’è il precedente dell’altro campionato asiatico, che per otto anni ha offerto ingaggi esorbitanti e ha rappresentato per molti la fine della carriera. Solo El Shaarawy e Arnautovic sono tornati in Europa ad alto livello

di YAHYA ACERBI
12 giugno 2023
Massimiliano Allegri, 56 anni, tentato dall'Al-Hilal

Massimiliano Allegri, 56 anni, tentato dall'Al-Hilal

L’Arabia Saudita è entrata di prepotenza nello scenario del calcio mondiale, le ricche proposte sembrano minare l’egemonia del calcio europeo. Ma non scordiamoci che una situazione simile si è già presentata in passato. Ora è il Medio Oriente, prima era la Cina: le superpotenze economiche da anni cercano di cavalcare il business calcistico per portare notorietà e sponsor nelle proprie nazioni. Dal 2012 al 2020 (anno in cui è stato imposto un tetto salariale sugli stipendi dei calciatori) il campionato cinese si è reso protagonista di acquisti clamorosi offrendo ingaggi esorbitanti.

Se a livello economico è sicuramente vantaggioso, a livello sportivo un trasferimento in questi campionati porta risultati e un futuro ad alto livello ai giocatori? Dagli esempi che abbiamo la risposta sembrerebbe negativa. Tra i più pagati in Cina ricordiamo: Oscar 23,4 milioni l’anno allo Shanghai Port (tutt’ora la sua squadra in Cina), Hulk 20 milioni l’anno allo Shanghai Port (ma ora gioca in Brasile), Pellé 15 milioni l’anno allo Shandon Taishan (svincolato), El Sharaawy 15 milioni l’anno allo Shanghai Shenhua (ora alla Roma), Paulinho 14 milioni l’anno al Guangzhou (ora in Brasile), Èder 13 milioni l’anno allo Jiangsu Suning (ora in Brasile), Ramires 13 milioni l’anno allo Jiangsu Suning (ora ritirato), Fellaini 12,4 milioni l’anno allo Shandong Taishan (attualmente in Cina), Arnautovic 11,9 milioni l’anno allo Shanghai Port (ora al Bologna) e Hamsik 8,8 milioni l’anno al Dalian (in Turchia al Trabzonspor e si è ora ritirato).

Di questi solo El Shaarawy ed Arnautovic sono riusciti a tornare a giocare in Europa a buoni livelli. Abbiamo visto calciatori capaci di competere nei più alti palcoscenici, alcuni in grado di sollevare i trofei europei prestigiosi (Ramires la Champions, Fellaini e Oscar l’Europa League) terminare prematuramente l’aspetto agonistico e competitivo del calcio per inseguire il denaro. Sicuramente comprendiamo le decisioni di chi, come Oscar, è arrivato a quei livelli partendo dal nulla e ha accettato ricchi contratti per assicurare benessere economico a intere generazioni familiari. L’esempio della Cina ci dimostra che ingaggiare a cifre astronomiche calciatori a fine carriera (per quanto iconici) non comporta un automatico spostamento del centro gravitazionale calcistico verso quei paesi.

L’Arabia è entrata in gioco e l’ha fatto sul serio, come anche gli Stati Uniti, ma il prestigio calcistico al momento lo si guadagna avendo successo in Europa. Non è un caso che la maggior parte dei giocatori presi in questione si trasferisca in questi club a fine carriera dopo aver ottenuto il possibile dal calcio Europeo. Il progetto saudita è ambizioso, riuscirà a trasformare la propria lega in uno dei campionati più competitivi al mondo (come ha affermato Cristiano Ronaldo, come crede anche Karim Benzema approdato all’Al-Ittihad come Ngolo Kanté) o si trasformerà in una Cina 2.0?

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