Capitano senza confini. Lautaro già nella storia. La sua Inter è da 10 e lode

Punta a superare presto Icardi nella classifica dei bomber nerazzurri. Dopo Herrera e Zanetti, un altro profeta argentino: caccia alla seconda stella.

di MATTIA TODISCO -
24 gennaio 2024
Lautaro già nella storia. La sua Inter è da 10 e lode

Lautaro già nella storia. La sua Inter è da 10 e lode

Il primo ad alzare al cielo la Supercoppa Italiana a Riyadh è stato Lautaro Martinez. L’hombre del partido, il capitano designato dopo l’era Handanovic, il breve interregno di Skriniar e i sei mesi dello scorso anno in cui la fascia veniva assegnata al giocatore in campo con più presenze. I dirigenti si sono presi alcuni mesi per decidere, poi hanno fatto la scelta: il simbolo del comando va al “Toro“. Un riconoscimento a un’impronta già oggi indelebile sulla storia nerazzurra, solo l’ultima emanazione del binomio storico tra Inter e Argentina. È di Buenos Aires l’allenatore più vincente della storia nerazzurra, Helenio Herrera. Dalla capitale proviene il più presente, Javier Zanetti, 858 partite con l’Inter. Tra dieci gol esatti, sarà argentino anche il marcatore straniero più prolifico di tutti i tempi. Il franco-ungherese Istvan Nyers è a 133, realizzati negli anni Cinquanta, in un calcio diverso nel quale i punteggi tennistici o affini erano più frequenti. Lautaro è a 123, ha appena affiancato Vieri e vede da vicino Icardi, ottavo di sempre, una sola rete più in su. Per raggiungere il podio deve arrivare ai 177 di Boninsegna, scavalcando in serie Lorenzi (143), Cevenini III (158), Mazzola (160). Oltre 200 ci sono Altobelli (209) e il leggendario Meazza (284).

La rincorsa alla vetta sarà possibile solo restando per molti anni ancora, come l’attaccante sembra voler fare. È a Milano da sei stagioni. Salvo la prima, in cui ha fatto da vice-Icardi, è sempre stato un titolare da non meno di 48 partite l’anno, con il picco di 57 del 2022/23. Tutte e cinque le volte è finito in doppia cifra e anche all’anno d’esordio, tra spizzichi e bocconi, si era fermato a nove centri, a un passo da quel dieci che veste sulla maglia. Un numero che ha preso da subito, con personalità. Era un ventunenne di belle speranze, lanciato dall’importante endorsement di Diego Milito. Lo aveva sostituito nel giorno del suo esordio in prima squadra al Racing, poco dopo il “Principe“ era diventato il suo direttore sportivo, il consigliere, il fratello maggiore. Fino ad essere il dirigente che insieme a Victor Blanco lo aveva ceduto all’Inter, accogliendo il blitz di Piero Ausilio e Javier Zanetti per sorpassare in extremis l’Atletico Madrid, ormai convinto di avere il calciatore in pugno.

Il prossimo 20 febbraio i colchoneros, a cui Lautaro segnò nel 2018 uno straordinario gol in amichevole dando un primo saggio delle sue capacità, affronteranno l’Inter e il suo capitano nel tentativo di strappare il pass per i quarti di Champions League. Non è detto che per allora non ci sia già stato l’annuncio di un rinnovo fino al 2028, con aumento dell’ingaggio per riconoscere al giocatore, diventato nel trascorso a Milano un marito, due volte padre, il giusto status allontanando le sirene che già si sono avvicinate in passato. Ci ha provato il Barcellona nel 2020, quando ancora Messi era blaugrana e faceva da calamita per attrarre i futuri compagni, se non fosse che in Catalogna le disponibilità economiche erano in calo. Attratto dalla possibile esperienza e da un ingaggio superiore, Lautaro non chiuse la porta, ma evitò la frattura. Lasciò parlare i dirigenti delle due sponde, per poi restare (convinto della scelta) e crescere fino a vestire l’anno dopo il simbolo tricolore dei campioni d’Italia. Ci ha provato anche la ricca Arabia in tempi più recenti e stavolta l’attaccante non ha aperto nemmeno uno spiraglio. A distanza di qualche anno si sente la stella polare della squadra, lo è diventato sempre di più mentre le casse esangui costringevano Zhang a lasciar partire Hakimi, Lukaku, Onana, Brozovic, Dzeko, tutto mentre lui si faceva ossa sempre più spesse, conquistando un Mondiale con l’Argentina, trascinando l’Inter a una finale di Champions League. Oggi quelle stesse ossa sorreggono muscoli da capitano.

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