Oss, dalla strada al gravel. "Il ciclismo è come il rock,. Il bassista un super gregario. Ora mi diverto sulla ghiaia»

La nuova vita del 37enne azzurro, due volte iridato nella cronometro a squadre

di GABRIELE TASSI -
1 giugno 2024

Quattro corde, la metafora di uno sportivo che aveva scelto la vita da gregario. Daniel Oss, accompagnatore di lusso per campioni assoluti come Greg Van Avermaet e il tre volte campione mondiale Peter Sagan ha iniziato a suonare il basso elettrico alle medie, "uno strumento che è lo specchio della mia personalità, da gregario – dice –, se non c’è ti accorgi sempre che manca qualcosa". Il 37enne ciclista con la passione della musica, vincitore in azzurro di due titoli mondiali nella cronosquadre, al ritiro dal professionismo ha scelto un futuro a tutto rock nel gravel. E in calendario (a Mantova dal 7 al 9 giugno) c’è anche la sua presenza al BAM, il grande raduno europeo dei viaggiatori in bicicletta, dove parlerà di viaggi in bici, la sua grande passione nata dopo la carriera da professionista.

Un campione del suo calibro come passa dall’asfalto a ghiaia e fango?

"Tutto parte dall’argento vinto ai Mondiali di Treviso di tre anni fa. Una gara che ho provato a fare quando avevo in programma il Tour e mi è piaciuto l’ambiente: poi fra il mio sponsor Specialized e una serie di coincidenze andate al loro posto mi sono ritrovato a correre in questa disciplina che mi ha sempre affascinato".

La prossima?

"Al momento sono in Kansas,a Emporia, nelle lande desolate del grano per la Unbound 2024, una delle gare di Gravel più importanti in America. Oggi correrò la 200 miglia (circa 300 chilometri), ma c’è anche una distanza più lunga, circa 450 chilometri, praticamente tutti di sterrato".

Cosa le piace del gravel?

"Il modo di pedalare: è uno dei più avventurosi e romantici che si possano trovare".

Poi?

"L’approccio è molto goliardico. Funziona un po’ come le maratone delle grandi città, dove c’è una parte di ’pro’ che ha voglia di competere, e altri che si ritrovano il weekend per divertirsi e mettersi alla prova".

Cosa è cambiato rispetto ai suoi anni da professionista?

"Ho passato una vita intera ad allenarmi e a inseguire record. Ora sto scoprendo il pedalare per il gusto di farlo e mettersi alla prova stando in salute. Agli eventi sai che comunque troverai persone con propensione alla fatica e passione, amici che si divertono il fine settimana in modo sano, perché anche un viaggio da Milano verso Cesenatico è gravel, se trovi le strade giuste".

Al Giro l’abbiamo vista in sella alla moto a seguire il gruppo, cosa le è piaciuto di più?

"Il bello è vedere e capire tutte le dinamiche della corsa senza però avere il mal di gambe. Si può capire quando una squadra medita un attacco, oppure se c’è chi viene messo in difficoltà dal vento".

E lei dal suo Giro cosa ha capito?

"Che stiamo forse vivendo il miglior ciclismo di sempre. Perché abbiamo grandissimi campioni come Pogacar, Van Der Poel o Vingegaard capaci di regalare uno spettacolo mai visto prima. Il dominio di Tadej poi è stato tutto tranne che noioso, perché con la sua personalità ha saputo dare pepe alla gara. Poi l’ultimo termometro, il sorriso dei bambini, se c’è quello vuol dire che tutto funziona".

Della truppa azzurra chi l’ha colpita di più?

"Tra gli italiani Tiberi ha confermato voglia di gareggiare da protagonista come aveva detto prima di partire. E lo ha fatto, a volte con coraggio e gambe, armato di lucidità e costanza. Poi c’è Giulio Pelizzari, che ha avuto grande coraggio oltre che gambe, capace di star calmo quando stava male, ha lottato per maglia blu. Sul Grappa è scattato davanti a tutti".

Cosa manca ancora al ciclismo secondo lei?

"Nel professionismo devo dire che funzionano benissimo comunicazione, divulgazione e investimenti. E’ diventato uno sport di grande rigore e piuttosto fashion: funziona. In ambito giovanile servirebbero più squadre e più gare per i ragazzini per partire già con lo slancio".

Continua a leggere tutte le notizie di sport su