Le pagelle finali del Tour de France 2023: Vingegaard e Pogacar straordinari

Philipsen cannibale delle volate. Landa e la Francia che pedala sono le delusioni

di ANGELO COSTA
23 luglio 2023
Jonas Vingegaard

Jonas Vingegaard

10 al TOUR per l’altissimo livello dello spettacolo concesso: non una tappa noiosa, grandi firme sempre in azione, colpi di scena e battaglie a viso aperto, qui di gente col braccino non se ne vede. L’esatto contrario del Giro.

10 a JONAS VINGEGAARD per come concede il bis al Tour, correndo con grande attenzione, senza sprechi di energie, affondando il colpo quando serve. Gliene bastano un paio: il primo sui Pirenei per capire come sta l’avversario, il secondo nell’unica crono, dove lo demolisce, prima di completare l’opera il giorno dopo sulle Alpi. Vero che ha accanto una squadra strepitosa, dove ogni gregario sarebbe capitano in un altro team, ma ci mette molto del suo, sbriciolando tutti i record sulle principali salite: di chi vince come lui si dice sempre che arrivi da un altro pianeta, nel suo caso è vero.

10 a TADEJ POGACAR per come riesce a esser protagonista in un Tour dove ha rischiato di non esserci e che affronta come se fosse il vero Pogacar. Due mesi senza corse e con allenamenti precari gli presentano il conto, perché come sempre non pedala al risparmio. Con i suoi attacchi e le volatine sui traguardi cerca di mascherare i suoi limiti di campione arrivato in Francia senza la preparazione che serve: in queste condizioni, riuscire a tener testa a Vingegaard e arrivargli alle spalle in classifica è la sua vera impresa.

8 a JASPER PHILIPSEN per aver recitato la parte di cannibale delle volate: delle cinque disputate se ne prende quattro, mancando la cinquina al fotofinish. Si dirà che uno ski-lift del valore di Van der Poel (voto 6 per ciò che non è riuscito a fare nelle tappe adatte a lui) non ce l’ha nessuno, ma è anche vero che il belga è quasi infallibile. Al punto da conquistare anche la giuria, che incredibilmente gli perdona il brutto gesto di andare a sgridare un avversario che tenta la fuga nella tappa in cui lui pensa di vincere. C’era una volta Jasper Disaster, come lo chiamavano in squadra per la sua proverbiale distrazione: per trasformarsi in Jasper the Master impiega meno di tre settimane.

8 a ADAM YATES per aver interpretato nel miglior modo il ruolo di co-capitano della Uae. Aiutando Pogacar, riesce a restare in alto in classifica, chiudendo sul podio: è un terzo posto al quale aggiunge la soddisfazione di aver vestito la maglia gialla e aver vinto la sua prima tappa in Francia tra l’altro dopo una storica fuga col gemello Simon. E’ la conferma che anche Pogacar ha accanto corridori che, in un altro team, potrebbero giocarsi carte importanti.

7 a CARLOS RODRIGUEZ per aver mantenuto le promesse che l’hanno accompagnato in questo suo primo Tour, dove vince una tappa importante e accarezza da vicino il terzo posto. Chiude quinto giocandosi il podio in una caduta, dopo una corsa intelligente, preferendo sempre il proprio passo alle rincorse impossibili, il modo giusto per andare alla scoperta dei propri limiti: a 22 anni, con la prospettiva di diventare leader di un team spagnolo, è un gran bel segnale.

7 a MATTEO TRENTIN per l’ironia con cui ha sintetizzato un Tour corso a tavoletta: ‘Se avete un motorino da 50 cc non venite al Tour, minimo un 75 cc per stare al passo’, ha scritto l’esperto azzurro in un tweet: quando pochi caratteri valgono più di mille parole.

6 a EGAN BERNAL per aver spiegato cosa significhi avere l’umiltà di ricominciare da capo dopo un incidente che poteva costargli ben più del ciclismo. ‘Non è finita finché non è finita, nel frattempo proviamo a migliorare’ non lo scrive sui social un giovane di primo pelo, ma uno che dopo aver vinto Giro e Tour non si ferma quando viene staccato in salita e accetta di arrivare a Parigi a oltre due ore e mezza dal vincitore: le rinascite più belle cominciano proprio così.

6 all’ITALIA per aver recitato fino in fondo il ruolo di Cenerentola. Già risicata nei partenti (7 al via, diventati sei quasi subito per la caduta di Guarnieri), la nostra spedizione raccoglie un secondo posto (con Ciccone) e un quarto (con Mozzato) e allunga il digiuno nelle vittorie di tappa a livelli record (85, nuovo primato negativo). Si toglie almeno la soddisfazione di salir sul podio di Parigi con la maglia a pois, che Ciccone riporta in Italia trentun anni dopo Chiappucci: con l’avvicinarsi del mondiale, tutto fa morale.

5 a JULIAN ALAPHILIPPE per non esser riuscito a regalare quel ciclismo frizzante al quale ci aveva abituati. Ci prova spesso, non ci riesce mai, un po’ per la superiorità degli avversari e molto per limiti suoi. E’ un vorrei ma non posso che fa soffrire lui e i suoi tanti tifosi, come se il LouLou spettacolare non riuscisse più a riaccendersi come prima: che si faccia notare per il lavoro di rottura nella tappa vinta in fuga dal compagno Asgreen la dice lunga.

4 a MIKEL LANDA per come non è riuscito a mantenere i propositi e le speranze che l’hanno scortato in Francia. Dura pochissimo: già la prima settimana fa capire di non essere da corsa per la classifica, nelle due successive non trova mai spazio e forze per salvare il suo disastroso bilancio con una vittoria di tappa. Se in un Tour ricco di montagne uno scalatore chiude a oltre un’ora dal vincitore, qualche domandina dovrebbero farsela: lui e chi ancora lo sostiene.

2 agli ORGANIZZATORI per non aver ancora risolto il problema del pubblico sulle montagne, nonostante il doloroso precedente del 2018, quando Nibali fu costretto al ritiro dopo esser stato buttato in terra sull’Alpe d’Huez. Ovvio che non si possano transennare chilometri di salite, ma una soluzione deve essere trovata: la corsa più bella (e più seguita) del mondo non può rischiare di esser sfregiata dall’indisciplina del cretino di turno.

0 alla FRANCIA per non aver ancora trovato un corridore da infilare nell’albo d’oro: se per l’Italia è il quarto anno in fila senza vittorie di tappa, per i cugini d’oltralpe sono già 38 gli anni senza un padrone del Tour (il leggendario Hinault, nell’85, l’ultimo). E a quanto si vede, con quel c’è in circolazione, o trovano in fretta un Vingegaard pure loro o l’attesa sarà ancora lunga.

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