Pogacar, sei leggenda: il Tour dei record

Allo sloveno la crono finale di Nizza, sesta vittoria di tappa e terzo trionfo alla Grande Boucle: doppietta col Giro, come Pantani nel ’98

di ANGELO COSTA
22 luglio 2024
Pogacar, sei leggenda: il Tour dei record

Pogacar, sei leggenda: il Tour dei record

Anziché a Nizza, dove il Tour ha celebrato il suo primo gran finale lontano da Parigi, sarebbe stato meglio premiare Tadej Pogacar poco più in là, a Cannes, città legata al cinema: perché lo sloveno è davvero un gran bel film. Terzo successo in giallo in cinque partecipazioni, dopo due secondi posti in fila, doppietta col Giro che non riusciva dai tempi di Pantani, anno 1998, secolo scorso: solo per fermarci agli ultimi due mesi. Nel conto di una stagione fin qui da ventun successi ci sarebbero anche la Strade Bianche, con un attacco solitario a 81 chilometri dall’arrivo, e la Liegi, dove l’assolo è stato di 35 ‘appena’: marziano e prodigio, come termini per definirlo, sembrano perfino stretti.

Cala il sipario sul Tour di Pogacar, campione che non è più il caso di paragonare ad altri che l’hanno preceduto: adesso è lui la nuova unità di misura, perlomeno di se stesso. Non è Merckx, né Pantani e tantomeno Coppi: è un fenomeno diverso, con caratteristiche tutte sue, di quelli che segnano uno sport, come è accaduto a Tomba nello sci, a Phelps nel nuoto, a Bolt nell’atletica. E’ il campione bandiera, amato dagli appassionati di ogni Paese, non solo del suo: per Pogi vien naturale tifare, perché vince con leggerezza e dispensa allegria. Un fuori categoria, insomma.

Di avere per le mani un miracolo di atleta se ne sono accorti in fretta alla Uae, il team dove lo portò Beppe Saronni quando Tadej era ancora un ragazzino: già lo pagavano più di ogni altro ciclista, dopo questo Tour gli daranno il doppio, portando il suo stipendio a 12 milioni all’anno. Così anche il ciclismo avrà il suo LeBron James, pur non arrivando ai livelli delle stelle Nba tra cui il suo connazionale cestista Doncic, che a Dallas ne guadagna il triplo. Inavvicinabile in bici, adesso Pogi lo è anche nel conto in banca, almeno nel mondo del ciclismo dove chi gli contende le corse più importanti incassa meno della metà.

Non sono certo i soldi la spiegazione del miglior Pogacar di sempre visto quest’anno: persi due Tour da Vingegaard, uno per un errore strategico e l’altro per le conseguenze della frattura al polso, lo sloveno ha cambiato pelle e soprattutto metodi di lavoro. In un team dove ha più voce in capitolo degli stessi dirigenti, ha scelto un nuovo preparatore, col quale si sottopone ad allenamenti che ne hanno migliorato notevolmente il rendimento: quel poco che si sa è trapelato grazie a una ‘talpa’ che ha svelato come si prepara il fenomeno sloveno, infastidito più dalla fuga di dati che dai rivali. In più c’è una maturazione fisica e anche un cambio di atteggiamento verso il ciclismo, non più solo divertimento ma anche applicazione monacale. E’ la strada che ha portato Pogacar a chiudere un cerchio proprio a Nizza: curiosamente laddove era partito il suo primo Tour, quello della rivelazione, si chiude quello della leggenda.

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