Viviani, c’è ancora strada. "La nazionale su pista come una famiglia ma il mio sogno è il Giro»
A 35 anni chiuderà la stagione 2024 dopo l’argento olimpico e quello iridato "Vorrei vincere qualcosa, l’apoteosi sarebbe strappare una tappa in rosa".
Elia Viviani archivia con due argenti pesanti, uno all’Olimpiade e l’altro ai Mondiali, un’altra stagione su pista di altissimo spessore. Ovviamente contento di questo 2024, ma già proiettato sulla prossima annata nella quale vorrebbe tornare a “graffiare“ anche su strada visto che quest’anno non è riuscito a vincere nemmeno una gara. A 35 anni, Viviani è integro e (giustamente) non ha nessuna intenzione di appendere la bici al chiodo. Lo abbiamo incontrato a Milano alla presentazione della stagione di Livigno, località dove è ormai di casa.
La chiamano il profeta della pista. Come ci si sente in questa veste?
"Tutto è partito dalle Olimpiadi di Rio, da quel memorabile oro nell’Omnium. Da lì è stato un crescendo per il settore. Dopo sono arrivati i vari Ganna, Milan e compagnia. I ragazzi si sono avvicinati alla pista e negli anni successivi hanno contribuito a vincere straordinarie medaglie olimpiche e mondiali. Caratterialmente sono fatto così, mi piace essere parte del progetto e aiutare i ragazzi che ora sono tutti più giovani. Sono io il vecchietto del nostro gruppo...". Da fuori, la nazionale del ct Marco Villa sembra una grande famiglia. È così?
"Si, perché si passa davvero tanto tempo insieme, al contrario di quel che succede nella nazionale su strada: con quel gruppo ci si vede per Europei e Mondiali, è difficile creare un gruppo così forte. Tra Coppe del Mondo, Europei, Mondiali e vari ritiri, su pista ci frequentiamo molto di più".
Questa è un’era d’oro per il ciclismo, ma c’è un fenomeno assoluto: Tadej Pogacar, che ha rinnovato con Emirates fino al 2030 a cifre mostruose.
"Fossi il manager di Pogacar e della sua squadra avrei fatto la stessa cosa. Tadej è l’atleta che tutti vorrebbero, se pensi al ciclismo oggi pensi a lui…".
Chi gareggia con lui si rende conto del suo strapotere?
"Vincere Giro e Tour nello stesso anno è da numeri uno, era dal ’98 che non succedeva. Non ha gareggiato nella Vuelta per preparare Mondiale e Lombardia e le ha dominate entrambe. Ha raggiunto un’altra dimensione. Che fosse un fenomeno l’abbiamo capito nel 2020, al suo primo Tour de France, ma che sia qualcosa di forse inarrivabile, probabilmente l’abbiamo capito quest’anno. Io lo conosco anche come persona e a me piace. È semplice, è un atleta che non si monta la testa, che sa benissimo cosa vuole, si allena duramente per centrare gli obiettivi messi nel mirino".
Quali sono i programmi per la prossima stagione?
"La volontà è quella che ho detto già dopo il podio di Parigi: tornare su strada e vincere ancora qualcosa. Ovvio che tornare al Giro e vincere una tappa sarebbe veramente l’apoteosi, mi sembrerebbe un po’ come tornare al 2018".
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