Trent’anni senza Senna. Quel giorno con Ayrton perdemmo l’innocenza

L’1 maggio del 1994 lo schianto fatale al campione sulla pista di Imola, dove il giorno prima era morto Ratzenberger: nulla è stato più come prima.

di LEO TURRINI -
29 aprile 2024
Quel giorno con Ayrton perdemmo l’innocenza

Quel giorno con Ayrton perdemmo l’innocenza

Esattamente trenta anni fa, il 29 aprile 1994, la Formula 1 cominciò a perdere l’innocenza. Noi che c’eravamo, non potevamo nemmeno lontanamente immaginarlo.

Quel giorno, un venerdì, stavamo a Imola per una grande festa popolare. Ma all’improvviso uno schianto terribile mise in pericolo la vita del pilota brasiliano Rubens Barrichello. Se la cavò, Rubinho. E ci intenerimmo tutti vedendo il grande Ayrton Senna precipitarsi al capezzale del giovane connazionale. Fu lui a dirci, uscendo dalla infermeria del circuito, che il peggio era scongiurato.

No, invece. Il sabato, il Dio della velocità pretese il sacrificio di Roland Ratzenberger. Il Milite Ignoto del Circo a quattro ruote. Praticamente nessuno lo aveva sentito nominare. Ma Senna sì: fu l’unico, Ayrton, a recarsi sul luogo della tragedia. Per tentare di capire ciò che invece era incomprensibile.

E dunque, a distanza di tre decenni, figuriamoci se ho compreso perché il Destino scelse di accanirsi sull’idolo più amato. Su un uomo speciale, non un santo, fragile come ognuno di noi. Ma unico. E gli fa un torto chi, beatificandolo, ne nasconde i difetti.

Ayrton era Ayrton perché lottava interiormente con le sue imperfezioni.

Ayrton, già.

Sulla morte di Senna, l’1 maggio 1994, è stato raccontato tutto e il contrario di tutto.

Purtroppo, fu subito chiaro che non c’era misericordia in pista, lì a Imola. Il casco ebbe un vago sussulto, infine l’immobilità assoluta. Non un gesto con la mano, non il tentativo di balzare fuori dall’abitacolo. Le altre vetture, che la Williams numero 2 aveva distanziato, stavano ancora passando di fianco al muro del Tamburello. E chi voleva capire, aveva già capito. Ayrton era morto. Non per i certificati ufficiali. Ma per la logica sì.

Fu subito tutto chiaro, sì. Chi si affannava intorno a un corpo abbandonato dallo spirito, si trovò davanti una scena terrificante. C’era sangue dappertutto, c’era materia cerebrale sparsa ovunque. La Formula 1 aveva appena ucciso il suo Messia. Il resto diventava, all’istante, un fastidioso, inutile rumore di fondo.

Alla morte si addice il silenzio. Eppure, chi può tacere a cospetto dell’evento che spezza la vita del fuoriclasse più amato? E infatti, trent’anni anni dopo, se ne parla ancora. Per l’automobilismo, ma in realtà non solo per l’automobilismo. La tragedia di Ayrton ha avuto lo stesso peso e lo stesso significato che l’omicidio Kennedy ebbe sulla storia degli Stati Uniti. Quello che avevamo rimosso il sabato, quasi ignorando il cadavere di Roland Ratzenberger, venne a spaccare i nostri pensieri, azzerandoli, obbligandoci ad accettare la realtà più cupa.

Succede, quando un Eroe viene rapito in cielo troppo presto. Fu così per i calciatori del Grande Torino, annientati da un disastro aereo. Fu così per Fausto Coppi, il Campionissimo del ciclismo.

Ps. L’editore di questo giornale, Andrea Riffeser Monti, intuì che nessuno avrebbe dimenticato l’emozione, angosciosamente enorme, di quel giorno, di quei giorni: volle una edizione straordinaria, anche se il Primo Maggio non si lavora. Ma nessuno si tirò indietro. Nessuno.

Perché con Roland Ratzenberger e Ayrton Senna, il Milite Ignoto e l’Idolo Assoluto, se ne era andato un pezzo della nostra innocenza.

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