I Giochi della gente

Le Olimpiadi di Parigi sono state un successo perché è tornato il pubblico, dopo l’isolamento di Tokyo

di LEO TURRINI – DORIANO RABOTTI
11 agosto 2024
Cafè Paris

Cafè Paris

Caro Doriano, ora che la fiamma si è spenta (Giorgia Meloni non c’entra, semmai c’entrano i Mogol e Battisti della Canzone del Sole), beh, vorrei congedarmi dalla Olimpiade e dai nostri dialoghi con alcune sommesse riflessioni. La prima. Con buona pace degli odiatori in servizio permanente effettivo, sui social e non solo, questi Giochi sono stati un successo straordinario. Non parlo di finanze, di soldi spesi: quello riguarda i parigini, i francesi. Ma io, che ne ho raccontate sedici!, non avevo mai visto una Olimpiade così popolare, così partecipata. Mi dispiace per gli intellettuali che stanno solo sul web, ma qui c’era il pienone ovunque (immaginati una finale olimpica di volley donne in Italia tra Polonia e Cina e poi dimmi chi va a vederla, eh. In termini di cultura sportiva, noi dai francesi dobbiamo imparare e basta). E sai perché è andata così? Perché io c’ero a Tokyo, nel silenzio osceno da Covid. C’ero negli impianti e negli stadi forzatamente deserti, causa pandemia. Stavolta il mondo si è passato parola. Nonostante le guerre, le paure, gli hacker e bla bla bla. Stare insieme: ecco cosa rappresenta una Olimpiade, a prescindere dal business, dagli imbrogli, dalle giurie, dalla strumentalizzazione politica. Seconda riflessione. Mi chiedo e ti chiedo: chi ricorderà le esternazioni sul sesso della tal pugile? Chi serberà nella memoria le fake news, le scemenze sulla etnia e i tratti somatici di questa o quella? Paola Egonu non è italiana?!? Non perché ha vinto l’oro nel volley con le sue compagne. Sarebbe stata italiana anche se avesse perso. E siccome mi sono stufato di ripetere simili enormi banalità, vado a concludere, anche per non annoiarti troppo. Questa è stata la mia ultima Olimpiade. Sommando tutto, ho speso più di un anno della mia vita scrivendo dai Giochi. Quando Julio Velasco, condottiero delle donne del volley, ha detto, rispondendo a una mia domanda, che l’oro della sua Nazionale è solo un capitolo della rivoluzione femminile, nel mondo ma anche in Italia, finalmente ho capito. Ne è valsa la pena, per lui e anche per me, visto che abbiamo solo figlie. Forse la vita non è stata tutta persa, forse, ma forse, ma sì (cit. Vasco, da Sally, dato che per onorare le Azzurre hanno sparato a palla Albachiata). Adieu, Mon ami.

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Caro Leo,

io ovviamente non ho termini di paragone, essendo stata questa la mia prima Olimpiade dal vivo. Vorrei dirti che serviva la mia presenza per farti sfatare il tabù del volley, ma non ho questa presunzione.

E’ la prima volta che tocco con mano, quindi mi fido. Di sicuro gli impianti quasi sempre pieni (ho visto gente uscire solo da Roland Garros dopo Djokovic-Alcaraz, peggio per loro e meglio per noi perché così ci siamo goduti lo spettacolo delle nostre Paolini ed Errani più larghi) dimostrano che la parte sportiva ha esercitato sicuramente un grande richiamo. 

Il concetto della condivisione è quello centrale, hai ragione. Credo che sia il cuore degli significato delle Olimpiadi. 

Avendo visto negli anni qualche spettacolo osceno sugli spalti, soprattutto nel calcio, è stato un balsamo per il cuore stare ad osservare la marea di mille colori che si mescolava agli ingressi delle sedi di gara o nelle fermate delle metro. Io per diverse sere mi sono ritrovato un gruppo di tifosi brasiliani che animava le fermate della metro scendendo e salendo dai vagoni cantando e ballando, e quelli che non filmavano coi cellulare come minimo sorridevano battendo il piede, du-du du-du.

E’ stata anche la prima Olimpiade con una così grande condivisione ‘social’, e senza tornare al discorso fatto per Tamberi, io essendo quasi un boomer continuo a preferire la condivisione fisica, però, come dire, sempre meglio di niente. La cosa importante è mantenere un contatto, cercare le parole per capirsi. Anche con una cosa apparentemente futile come lo scambio delle spillette dei comitati olimpici, immagino che anche tu avrai assistito alle scene e ai mercanteggiamenti...ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare, ti do tre Cina per una Bermuda, anche tra colleghi apparentemente tranquilli. Ma anche quello è un segno: conoscersi anche attraverso lo scambio di pins, male non può fare.

Io da un’Olimpiade, oltre al livello altissimo delle prestazioni sportive, questo mi aspettavo: che mostrassero come si può vivere la differenza senza che diventi conflitto. Nella competizione sfrenata, ma col rispetto della diversità altrui. Può darsi che col tempo rivaluteremo la sfilata inaugurale: a me è sembrata pacchiana, ma poi per le strade ho respirato una tolleranza che ho un po’ invidiato, visti i tempi che viviamo da noi. 

Ecco, sarebbe già abbastanza andare a Los Angeles potendosi occupare solo di sport...

Au revoir, mon frère.

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