Un selfie che unisce le due Coree
Sul podio del torneo di tennistavolo gli atleti dei due Paesi si sono fatti una foto insieme: un’immagine di speranza possibile solo grazie allo spirito delle Olimpiadi
Caro Doriano, a quanto pare i venti di guerra continuano a soffiare più forti che mai. Era malinconicamente prevedibile che l’appello di Papa Francesco per una tregua olimpica, in stile Grecia antica, sarebbe caduto nel vuoto. Eppure. Eppure, talvolta basta un selfie per riaccendere l’inutile illusione. Ne avrai sentito parlare: un selfie, appunto, scattato sul podio dopo la finale del doppio misto di Ping pong, o tennistavolo che dir si voglia. Oro alla Cina con Wang Chuqin e Sun Yingsha, argento alla Corea del Nord con Ri Jong Sik e Kim Kum Yong, bronzo alla Corea del Sud con Lim Jonghoon e Shin Yubin. Per legge, ai cittadini della Corea comunista è proibito scambiare parola con i cittadini della Corea capitalista. Però, nella felicità del momento, eccoli insieme. Sudisti e nordisti (tra i due Paesi manco esiste un trattato di pace, dal 1953 c’è solo un armistizio) sullo stesso podio. Vicini, magari muti per dover di stato ma sorridenti. Mi fa piacere, per amor di ingenuità, ricordare a noi stessi che nel 1971 il mondo era messo pure peggio di oggi, c’era la guerra in Vietnam e l’ipotesi di un conflitto nucleare non era scartata dagli analisti. Poi americani e cinesi accettarono di giocare una partita di Ping pong. Non esistevano i selfie, ma qualcosa cambiò. In meglio. Stavolta, chissà.
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Caro Leo,
quello che hai appena descritto è uno di quei momenti che possono capitare soltanto alle Olimpiadi, direi. Perché già in un mondiale lo spirito degli stessi atleti, al dl là della gara, è completamente diverso.
Questa è un'Olimpiade dal grande impatto mediatico, figlia dei suoi tempi in cui i social competono con le televisioni e le immagini hanno un ruolo che spesso supera quello del racconto scritto o parlato. Basti pensare alla cerimonia inaugurale, all'uso che se ne è fatto in modo strumentale da una parte e dall'altra.
Le immagini sono un'arma a doppio taglio, perché sono immediate, dirette, eppure sono anche delle spugne, ognuno ci appoggia sopra se stesso, la propria natura, anche in modo inconsapevole.
Oppure, per dirla in modo più semplice, la differenza sta nell'occhio di chi guarda.
Devo dire la verità, mi fa piacere per te che tu riesca ancora ad osservare con l'ottimismo della volontà una foto come quella dei pongisti coreani, io sarò un po' più cinico, ma subito dopo ho pensato: e adesso che cosa succederà ai due coreani del nord, quando torneranno a casa?
Più in generale, mi sembra che il mondo dello sport negli ultimi anni sia diventato sempre più spesso il teatro di incontri e scontri di un livello superiore, e anche in questo senso le Olimpiadi sono diverse da qualsiasi altro confronto sportivo. E moltiplicano il peso dei gesti, fanno diventare alcune immagini icone vere. In fondo, non sono i Giochi in cui ogni atleta ha ricevuto uno smartphone e l'invito a farsi il selfie, onere che spesso ricade sulla medaglia di bronzo sul podio (ieri al nostro Greg Paltrinieri)?
Io però temo un effetto diverso. Ai tempi della Guerra Fredda e della diplomazia del ping pong, le immagini avevano una diffusione minore ed erano destinate a durare. Quindi a rimanere impresse nelle coscienze.
Oggi che siamo bombardati da foto e scatti curiosi, il rischio è che quel selfie, con il suo peso più umano che politico, sia cancellato troppo presto dalle foto successive. Tra un piatto tipico o una nuova pettinatura, una decorazione sulle unghie o una foto del traffico, la pace sul podio tra le due Coree rischia di andare perduta come lacrime in una pioggia di scatti, per dirla quasi come Blade Runner.
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