Una cerimonia poco francese
Le Olimpiadi viste da vicino dai nostri inviati a Parigi Leo Turrini e Doriano Rabotti
Caro Doriano, mi fa piacere condividere questo epistolario olimpico, chiamiamolo così, con te. So che sei emozionato all’idea di partecipare per la prima volta ai Giochi. Ma ti assicuro che anche un Rimba come me medesimo, alla sua sedicesima presenza sul palcoscenico a cinque cerchi, ecco, anche un veterano alla Joe Biden (va mo là), beh, non riesce a restare indifferente. Oh, lo so benissimo: individuare i difetti, non lievi!, dell’evento olimpico è sport gettonatissimo. Quasi un classico giornalistico (e non solo). Sprechi, ostentazione di potere, corruzione, doping: c’è anche questo, per carità. Eppure. Eppure sono reduce da una cerimonia inaugurale che non pochi, immagino, avranno trovato kitsch, pagana, infarcita di retorica da tre palle un soldo. Però… Però i francesi si sono inventati la trasformazione della Senna in un palcoscenico. E non si era mai visto nulla del genere in decenni e decenni. Però i francesi, considerati malefici maestri di sciovinismo, hanno coinvolto nella parte più intensa della cerimonia Nadal, Serena Williams, Nadia Comaneci, Carl Lewis. Uno spagnolo, due americani, una ex cittadina rumena. È stato il loro modo di riconoscere e proclamare l’universalità dell’evento. L’Olimpiade è di tutti. Come i valori della Rivoluzione del 1789: libertà, uguaglianza, fratellanza. È una sciocca presunzione? Sì. Sono un povero ingenuo? Sì. Ma mentre affogavo nel temporale abbattutosi su Parigi, ho ripensato ad una frase di John Fitzgerald Kennedy.
Sono un idealista senza illusioni.
Ps. Le illusioni le ha già portate via il tripode agganciato alla mongolfiera, temo.
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Caro Leo,
il piacere è tutto mio.
Devo dire che sono pienamente d'accordo a metà, come diceva il noto calciatore diventato idolo della Gialappa’s per questo rinvio linguistico particolarmente sbilenco.
Sono d'accordo sull'emozione personale e anche sulla portata simbolica della cerimonia inaugurale.
Sono d'accordo sulla scelta sorprendente dei francesi di fare un bagno di umiltà, loro che non sono certo famosi per questo motivo, coinvolgendo campioni di altre nazionalità nella passerella finale. Devo dire che a tratti l'accumulo di personaggi diversissimi tra loro mi ha dato la sensazione di assaggiare un croissant con troppe marmellate diverse all'interno. Però mi rendo anche conto che la scelta dei registi dello spettacolo era quella di rappresentare un mondo in cui le diversità siano una ricchezza e non una fonte di discriminazione. E da idealista che crede ancora nelle illusioni come motore per sfuggire al grigiore della realtà, mi ha molto toccato il passaggio tra gli ultimi tedofori, disabili e normodotati, anziani e più giovani. È chiaro che se razze e generazioni dialogassero nello stesso modo avremmo un mondo migliore.
Ma stiamo debordando nella filosofia, che in un caffè parigino farebbe anche chic, ma noi non siamo mica gli americani, come direbbe Vasco, e neanche i francesi.
Quindi non vedo l'ora di veder parlare le gare, sono sicuro che ci regaleranno già da oggi altre storie memorabili.
Lascia, oggi il caffè lo pago io.
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