Jannik, lezione di vita: "Vorrei che tutti avessero dei genitori come i miei. Mi hanno lasciato libero"
L’altoatesino dedica il trionfo alla famiglia: "Io, cresciuto senza pressioni". Da Agassi a Capriati, quei padri-padroni che costringevano i figli a giocare.
Roma, 29 gennaio 2024 – Oggi è facile, tutti vorrebbero un figlio come Jannik Sinner. Non perché ha vinto, non perché è su tutti i giornali e le tv, non perché è l’uomo più nominato del giorno, forse in tutto il mondo.
No, è un altro il motivo del legittimo orgoglio per mamma Siglinde, che ieri al telefono ha risposto come fa sempre dal B&B di famiglia a Sesto Val Pusteria ("no, no, non diciamo niente", gentile ma ferma), e papà Hanspeter che fa il cuoco per il team e segue il gruppo in giro per il mondo.
È in quella dedica che Jannik ha saputo tirare fuori dalla tasca del cuore nel momento in cui qualsiasi altro ventiduenne al suo posto avrebbe forse perso il controllo per la gioia: "Ringrazio tutte le persone che stanno seguendo da casa, soprattutto la mia famiglia. Vorrei che tutti avessero dei genitori come i miei, mi hanno permesso sempre di scegliere, non mi hanno mai messo sotto pressione e auguro a tutti i bambini di avere la libertà che ho avuto io".
Chi è genitore, ovviamente prima è stato figlio e conosce benissimo quanto sia difficile a volte comunicare, per quanto ci si sforzi. Anche nelle migliori famiglie, come si diceva una volta. Jannik non è il primo che dedica un trionfo ai suoi cari, ma è il concetto della libertà di scelta a fare tutta la differenza rispetto alle carrambate a cui siamo abituati.
A maggior ragione perché lo dice in un cortile come quello del tennis professionistico che storicamente non è proprio un modello di libertà. In passato, dal più famoso Agassi a Jennifer Capriati, da Murray a Tsitsipas alla nostra Camila Giorgi, insieme con le vittorie sono finiti in vetrina rapporti spesso complicati tra genitori e figli. Per dirla tutta, si sprecano i casi di adolescenti sui quali viene caricata la responsabilità di riscattare le frustrazioni di padri o madri. E a volte sono dovuti intervenire addirittura giudici e poliziotti, per dire.
A casa Sinner evidentemente le cose hanno funzionato meglio, e non è solo l’amor filiale a spingere le dichiarazioni del nuovo fenomeno dello sport mondiale. In quelle parole apparentemente ordinarie in realtà si nasconde la gratitudine di chi ha avuto la possibilità di scegliersi una strada, soprattutto quando all’orizzonte c’era un bivio: quello tra lo sci, sport nel quale Jannik eccelleva, e il tennis, che l’avrebbe portato lontano da casa per inseguire il sogno di una grandezza tutt’altro che scontata, a 14 anni.
Nella dedica dal tetto del mondo si mescolano riconoscenza e un po’ di nostalgia: "Non li vedo così spesso, purtroppo, ma quando li vedo è sempre un bel momento. Sono andato via di casa quando avevo 14 anni. Quindi ho dovuto crescere abbastanza in fretta, cercando di cucinare per me stesso, cercando di fare il bucato. Forse è stato il modo più veloce per crescere. Per me è dura, ma anche per i genitori lasciare il figlio a 14 anni, non è facile. Mi hanno sempre dato, non mi hanno mai messo pressione, forse è la chiave per cui sono qui oggi. Sono i genitori perfetti. Ovviamente conosco solo loro, ma sono fantastici".
Ecco, diciamo che se fossimo al posto di Hanspetter e Siglinde, ci sentiremmo di avere vinto il Grande Slam della vita.
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