Velasco, mister ’zero alibi’: "Dalla Egonu ai giovani, è l’ora della responsabilità"

Il ct azzurro ha le idee chiare: "Il caso di Paola è stato gestito male da tutti. Con me sarà titolare, e la Antropova riserva: l’incertezza può creare ansia".

di DORIANO RABOTTI -
10 febbraio 2024
Julio Velasco: "Dalla Egonu ai giovani, è l’ora della responsabilità"

Julio Velasco: "Dalla Egonu ai giovani, è l’ora della responsabilità"

Certo che la vita fa giri strani. E a volte sono cerchi non concentrici, piuttosto intrecciati come quelli delle Olimpiadi. Julio Velasco ha riscritto la storia del volley italiano, arrivando fino all’argento nei Giochi di Atlanta nel ’96 con la squadra maschile. Oggi a 71 anni ha la grande occasione di riprovarci con le azzurre.

Velasco, che cosa l’ha spinta a tornare in pista alla sua età, a Busto e poi in nazionale?

"Io non mi sento gli anni che ho. E in realtà negli ultimi quattro nel settore giovanile dell’Italia a volte ho anche allenato, non facevo il coordinatore da casa...Ma è vero che da due anni volevo tornare a fare un’esperienza nel femminile, ci ero passato nel 1997 quando nessuno ci credeva e avevo ragione. La differenza è che prima di Busto nessuno mi aveva dato la possibilità di riprovarci. Poi è arrivata a sorpresa la nazionale e non potevo immaginare di meglio".

Aveva un conto aperto con la femminile, e con i Giochi?

"Con i Giochi no, con la femminile sì. Ma pensavo che sarebbe diventata realtà al limite dopo le Olimpiadi, ero convinto che Mazzanti ci sarebbe arrivato".

Che cosa la ispira?

"La voglia di novità, anche se non è in assoluto la prima volta. Ma rispetto al ’97, tante cose sono diverse, quindi sei obbligato a pensare e preparare soluzioni creative. È il mio modo per combattere l’invecchiamento".

Dopo 26 anni che cosa è cambiato nel volley femminile?

"Tutto, le atlete adesso sono fisicamente e tecnicamente molto più forti. E si sono sviluppati molto i club, oggi è impensabile vedere una Teodora che vince 11 scudetti consecutivi".

Potrà raccogliere i frutti del Club Italia, è un seme che ha piantato lei.

"Sì, ma è giusto dire che molto hanno fatto anche i club, è un lavoro parallelo e convergente tra società e federazione"

Perché non ha funzionato nel maschile?

"Per diversi motivi: prima di tutto i settori giovanili erano già più sviluppati. Poi quando lo proposi le giocatrici interessanti erano disperse in giro per l’Italia, oggi sono molte le società che lavorano bene sui vivai anche a livello locale, come a Roma e in Veneto. Adesso andrebbe ripensato su età più basse, perché è importantissimo insegnare alle giovani atlete a competere. Quello che non mi piace del Club Italia è che se perdi non succede niente: all’inizio poteva andare bene così, adesso è diverso".

Una cosa è molto diversa, a dire il vero: allora non c’erano i social. Lei come li vive?

"Io non li ho e non mi sfiorano, non li leggo e non voglio che mi raccontino cosa ci scrivono. Perché non accetto l’anonimato. Capisco che in paesi con la dittatura certi movimenti siano stati resi possibili solo da quello, quindi non è negativo in assoluto. Ma a livello sportivo l’anonimato scatena il peggio perché dà la sensazione di impunità. Anche noi da adolescenti in gruppo dicevamo cose che non avremmo mai detto faccia a faccia, sui social si dicono cose senza responsabilità morale".

E non si vede una via d’uscita.

"Penso che succederà come col cellulare, a un certo punto arriverà un’assuefazione, tra qualche anno faranno meno danni. Purtroppo i giocatori sono giovani, una volta seguivano le critiche dei giornalisti, che però ci mettevano la faccia e dietro c’era comunque una testata e un’autorevolezza. Sui social invece parla chiunque. È un tema su cui ho fatto una riunione con la Fipav, ne avevo parlato con le ragazze di Busto. A Mazzanti ne hanno dette di tutti i colori, se lo può consolare anche Leo Messi era criticato, prima di vincere il mondiale".

Secondo lei nei problemi tra la Egonu e la nazionale questa bolla ha avuto un ruolo?

"Può darsi, però io cerco sempre la responsabilità dei protagonisti, troppe spiegazioni finiscono per diventare un alibi. Quella è una faccenda che è stata mal gestita da diverse parti, ma qui inizia come un nuovo ciclo scolastico: non mi interessa quello che è successo prima. Se nell’89 avessi dato retta a quello che si diceva, non avremmo vinto niente. E non mi raccontino che le donne sono più complicate: io ho il mio modo di gestire le cose, rischio in prima persona e non cambierò. Diciamo che mi occupo e non mi preoccupo. Se bisogna morire, bisogna farlo con la propria bandiera, non quella degli altri".

Ha già deciso che Paola è titolare e Antropova riserva?

"Sì. Me lo hanno chiesto, e ho risposto. Quando avrò certezze anche sul resto della squadra lo dirò, perché saperlo toglie ansia. Ci sono ancora situazioni fisiche da verificare, ma sono convinto che la squadra titolare vada definita, altrimenti si generano tensioni troppo grandi".

Ha scelto Barbolini e Bernardi nel suo staff.

"Volevo i migliori allenatori delle migliori squadre, ovviamente non potevo prendere Santarelli che allenava la Turchia. Avevo scelto anche Gaspari, non è stato possibile. Nell’89 non avevo potuto chiamare Barbolini, che avevo avuto come vice alla Panini, perché la Fipav voleva un capoallenatore di A1, così scelsi Frigoni che era in corsa con Daniele Ricci. Voglio i migliori perché sono bravi, non gli amici".

Possiamo stare tranquilli? Alle Olimpiadi ci andiamo?

"Non so se tranquilli è la parola giusta, ma ci sentiamo in grado di farcela. Anche se all’inizio non avremo tutte le giocatrici a disposizione".

Una volta a Parigi, a che cosa punteremo, concretamente?

"A una medaglia, anche se ai Giochi la partita clou sono i quarti, è una sfida difficilissima sul piano nervoso. E di concorrenti ne abbiamo tante: Usa, Serbia, Brasile, Turchia, Giappone, Cina".

Se dovesse andare bene, che cosa farà per festeggiare?

"Sono molto adrenalinico, per una settimana sarò distrutto".

Continua a leggere tutte le notizie di sport su