NBA, perché sempre più giocatori fanno registrare prestazioni monstre

Negli ultimi anni capita sempre più frequentemente che superstar NBA regalino prestazioni da oltre quaranta, cinquanta e, qualche volta, sessanta punti. Con l'aumento del numero di possessi a gara, dell'utilizzo del tiro da tre e, da non dimenticare, dell'aumento del talento medio dei giocatori, proviamo a capire perché si segna così tanto in NBA.

di KEVIN BERTONI -
5 febbraio 2024
Stephen Curry, playmaker Golden State Warriors

Stephen Curry, playmaker Golden State Warriors

Milano, 5 febbraio 2024 - I 73 di Luka Doncic lo scorso 26 gennaio contro Atlanta, i 70 di Joel Embiid quattro giorni prima contro San Antonio e i 61 di Karl-Anthony Towns nella stessa serata contro Charlotte. Queste tre sono solo le ultime, in ordine di tempo, migliori prestazioni individuali della stagione NBA fino a questo momento. Siamo oltre il giro di boa della stagione regolare e sempre più spesso vediamo giocatori superare, più o meno facilmente, quota 50 punti. Le statistiche confermano: ci sono quattro giocatori che viaggiano sopra i 30 punti di media e ben 43 che vanno sopra i 20. Insomma, ormai segnare almeno venti punti ad allacciata di scarpe per moltissimi è consuetudine. Andando a ritroso, non troppo, dai 73 punti di Luka Magic contro Atlanta, nell'arco di pochi giorni abbiamo assistito a un exploit perché a gennaio 2024 si sono visti ben quattro cinquantelli e, al momento, si contano 108 prestazioni da 40 o più punti. A questo ritmo, difficile ma non impossibile, si potrebbe battere il record stabilito nella stagione 2022/2023 quando se ne registrarono ben 203 di queste prestazioni. Nonostante molti continueranno sempre a dire che tale aumento di prestazioni da playstation è dovuto più che altro a una semplice mancanza di intensità difensiva durante la regular season, proviamo ad analizzare alcuni dei fattori che possono essere determinanti in tutto ciò come: la crescita verticale, negli ultimi anni, del numero di possessi per partita e l'aumento costante dell'offensive rating di tutte le franchigie, il maggiore utilizzo (che non significa abuso) del tiro da tre punti, l'analisi di qualche scelta difensiva di varie squadre quando si trovano davanti una superstar e, ultimo ma non banale, il fatto che stiamo assistendo a una NBA con una concentrazione di talento che raramente, per non dire mai, si è vista nella storia della lega.

Nessuno, o quasi, gioca meno di 100 possessi a partita

Decenni fa Danny Biasone, da Miglianico in Abruzzo e proprietario dei Syracuse Nationals, la fece semplice dopo alcuni risultati al limite dell'accettabile: per lui la partita ideale era a 60 tiri per squadra (120 in totale), quindi se si giocano 48 minuti ci sono 2880 secondi, divisi 120 esce proprio 24. L'invenzione entrò in vigore nel 1955 e in poco meno di settanta anni il basket non è cambiato, è stato proprio rivoluzionato. Ma se si prende quel dato "ideale" di 60 tiri a squadra come riferimento iniziale, nella NBA di oggi ogni squadra tira mediamente 89/90 volte a partita. La crescita del numero di conclusioni è data anche dall'aumento, nelle ultime stagioni vertiginoso, dei possessi a gara: quest'anno solo i Nuggets sono sotto, 99.6 (praticamente nulla, dati teamrankigs.com), i 100 possessi a partita. La possibilità di giocare così tanti palloni in attacco e, di conseguenza, tirare così tanto fa sì che anche il peggior attacco della Lega, Memphis, segni almeno 107 punti a partita. Dunque, una qualsiasi squadra può avere esplosioni a livello di rendimento offensivo in qualsiasi momento della partita e contro qualsiasi altra squadra. Ad esempio nella notte tra sabato 4 e domenica 5 febbraio, Washington ha subito 42 punti nel solo primo quarto dai Suns e, per completezza, nel sia nel secondo che terzo ne hanno presi 37. Ogni squadra ha almeno un giocatore, che sia il go to guy o un exploit di un secondo o terzo violino, che può accendersi in un attimo e segnare a ripetizione, come capitato a Bradley Beal contro i Wizards. Oppure, ancora, non per forza deve esserci un singolo, ma anche quattro/cinque giocatori che, in serata di grazia al tiro, si spartiscono equamente 80/90 punti come capitato nella notte a Utah nella vittoria 123 a 108 contro i Bucks: 21 per Markkanen, 19 per Sexton e George, 15 per Collins e 13 per Kessler che hanno ribaltato completamente la partita nel quarto quarto con un parziale da 40-13. Giocando più possessi e, di conseguenza, tirando di più, aumentano le possibilità di segnare di più non solo per un singolo giocatore, ma anche per l'intera squadra. 

Conta anche l'efficienza e pure questa è in crescita

Tirare tanto e bene. Le due cose vanno all'unisono per poter segnare così tanto. Tutte le franchigie hanno migliorato e continuano a migliorare le scelte offensive sia a livello individuale che collettivo. Certo, va precisato che a volte ci sono delle situazioni dove questo non si verifica, come nel caso dei 62 di Towns: il lungo dei T'Wolves ne ha segnati solo 4 nell'ultimo quarto della partita con Charlotte forzando tanto, infatti poi Minnesota è uscita sconfitta da quella gara. Con continui allenamenti di squadra, sessioni di tiro e video, tutti i giocatori sanno quali sono le scelte più remunerative a livello offensivo per ognuno di loro e in base alle loro caratteristiche. Inoltre, anche il coaching staff di ogni squadra, a partire dal primo allenamento, valuta i giocatori a propria disposizione, conosce i loro punti di forza e disegna schemi "su misura", alla stregua di un abito sartoriale, per farli rendere al meglio. Questa efficienza offensiva si misura con il cosiddetto offensive rating, ovvero l'indicatore che viene calcolato stimando i punti di un giocatore, o eventualmente di una squadra, ogni 100 possessi. Dopo 49 partite, il rating più basso è dei Detroit Pistons capaci di vincere solo 6 partite fino a questo punto ed è di 111, in cima alla classifica ci sono i Boston Celtics con 120.3 che questa notte hanno vinto contro Memphis per 131-91. Dalla partita si evince come la squadra del Massachusetts giochi un'ottima pallacanestro su entrambi i lati del campo, in particolare la metà offensiva. La qualità dei 99 tiri da due e 51 da tre costruiti dagli uomini di Joe Mazzulla è spesso ottima grazie a una bella circolazione di palla sul perimetro e schemi ad hoc per trarre il massimo vantaggio da ogni giocatore. Senza Jaylen Brown, considerabile appunto come secondo violino, ci ha pensato Kristaps Porzingis a farne 26 con il 58% dal campo, dietro al solito Jayson Tatum con 34. 

Uso, non abuso, del tiro da tre punti

"È tutta colpa di Stephen Curry e dei Golden State Warriors, adesso nessuno gioca più a basket e tirano tutti da centrocampo". Quante volte l'avete sentita? Tante, troppe, e questa frase non ha mai avuto un minimo di senso logico sin dall'inizio. O meglio, un senso ce l'ha: vi fa capire che forse il vostro interlocutore non è così ferrato sulla materia. Certo, Golden State e Curry hanno rivoluzionato il basket come pochissimi altri nella storia di questo sport. Al termine della stagione 2018/2019 solo cinque squadre tiravano almeno 35 triple a partita (Houston, Milwaukee, Atlanta, Dallas, Brooklyn), ad oggi il numero in questa stagione è più del doppio, ben 13. E non si tratta semplicemente di numero di tiri, ma anche di qualità e varietà di questi. Per quanto riguarda il livello qualitativo maggiore basta fare riferimento a quanto scritto in precedenza a livello di rating offensivo, mentre per la varietà va inserito un ulteriore aspetto: le triple in palleggio, arresto e tiro. Una soluzione che, prima della "revoluciòn curriana", non era quasi mai presa in considerazione dalle squadre, tanto che i migliori tiratori spesso erano specialisti da piazzato: vari Kyle Korver, Ryan Anderson, Trevor Ariza, Eric Gordon e tanti altri. Ora, invece, ci sono tanti tiratori anche dal palleggio come Lillard, Mitchell, Haliburton che, nonostante una tecnica di tiro alquanto particolare, segna con costanza. Questo porta a un necessario adattamento delle difese che ora devono coprire ben più terreno per evitare un palleggio, arresto tiro da sette metri e mezzo o addirittura otto. La possibilità, per quasi tutte le franchigie, di avere un giocatore abile in questo tipo di conclusione fa sì che la difesa si debba allungare, coprire una porzione del campo maggiore e, di conseguenza, essere più vulnerabile vista la maggiore difficoltà (difendere una metà campo di circa 14 per 15 è davvero tosta) . Vulnerabilità che non significa solo tiri da tre punti, ma anche di penetrazioni e tagli backdoor per canestri facili in area. Questo si collega, ma sarebbe un altro argomento, anche con la progressiva diminuzione dei tiri dal mid range.

Siamo di fronte a superstar incredibili

Certo, è la migliore Lega del Mondo. Ci sono tutti i giocatori più forti del pianeta sia a livello fisico che di puro talento. Ma a volte sembra che ci dimentichiamo quanto effettivamente siano forti. Sembra, strano, banale, ma è così. Ci si dimentica che nel febbraio 2016 Mike Wang, il gameplay director del videogioco NBA2K, disse: "Dobbiamo essere onesti, stiamo ancora cercando dei metodi per riprodurre Stephen Curry in NBA 2K...è un rule breaker. Quando si considerano i jump shots che segna diventa un problema tradurlo nel mondo videoludico che abbiamo creato con accuratezza finora e che mira a rispecchiare le situazioni reali". Un giocatore, reale in carne e ossa, che fa cose impossibili alla playstation, in un videogioco. Basterebbe questo aneddoto di otto anni fa per capire in che direzione sta andando la NBA. Le superstar di oggi fanno cose che tantissimi altri loro predecessori non riescono a fare: le triple di Curry, la qualità in post basso di Embiid, la raffinatezza di Nikola Jokic, il palleggio arresto tiro di Durant, lo strapotere di LeBron e "superuomini" come Giannis Antetokounmpo, non a caso soprannominato The Greek Freak. Queste sono solo alcune delle superstar presenti in NBA e che, ancor prima del loro ritiro, sono annoverati come alcuni dei più grandi giocatori di tutti i tempi. Di fatto, quasi ogni squadra ha un giocatore del genere che più o meno costantemente va sopra i venti punti e in qualche serata alza l'asticella a livelli che prima erano impensabili. Il futuro? Beh, in ottime mani: Victor Wembanyama è solo l'ultimo arrivato, ma con lui c'è anche Shai Gilgeous-Alexander, Luka Doncic e tanti altri. Tutti giocatori, e tanti altri non menzionati, che possono metter giù una prova da oltre 40 punti sia per tutto quello, e tanto altro, di cui sopra ma anche perché sono fenomenali. Certo, la NBA non è priva di difetti ed è vero che, in qualche caso (riprendendo i 61 di Towns) si esagera nella ricerca del record personale o comunque della performance per i posteri, ma sarebbe un errore ridurre tutto quello che stiamo, fortunatamente, vivendo a un semplice "non si difende".

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