Gambini Capitano Virtus e patron Fortitudo

Le due esperienze di Germano, scomparso nel 2010: vince due titoli in bianconero, 1955 e 1956. Guida l’Aquila negli anni Ottanta

di ALESSANDRO GALLO -
13 aprile 2024

Dal bianconero al biancoblù. Un passaggio che, anche in direzione opposta, è stato fatto più volte nella Città dei Canestri. Ma quello di Germano Gambini, che era nato a Bologna il 14 dicembre 1931, è di quelli che non possono passare inosservati. Anche perché Germano gioca nella Virtus che vince gli scudetti in Sala Borsa, 1955 e 1956 e muove i primi passi, al palasport – la nuova casa del basket per Bologna, inaugurato nel 1956 –, sempre con una V nera sul petto. Complessivamente per Germano, che ci lascia il 28 dicembre 2010, a 79 anni, ci sono 209 presenze e 1.176 punti.

In mezzo a tutto questo anche una trentina di presenze con la maglia della Nazionale e il premio quale miglior giocatore ottenuto al trofeo Mairano, proprio nel 1956 (l’inaugurazione del palasport di Piazza Azzarita), quando segna 12 punti alla fortissima nazionale sovietica.

Germano, 195 centimetri d’altezza e di grinta, è un prodotto tipico del vivaio virtussino. Insuperabile in difesa, garantisce valanghe di rimbalzi. E quando a tutto questo, aggiunge anche una migliore tecnica in attacco, diventa un elemento completo.

Dieci anni, poi, un ‘bel giorno’, l’avventura virtussina finisce. Sulla panchina bianconera, sempre attenta agli allenatori stranieri, arriva lo spagnolo Eduardo Kucharski: Germano, che pure è il capitano della V nera per ben tre anni, finisce ai margini e l’anno successivo viene liquidato.

"Senza nemmeno una riga di ringraziamento – dirà qualche anno più tardi –. Ma conservo della Virtus ricordi stupendi. Dico Mezzetti, Lello Zambonelli, Vittorio Tracuzzi e tutti i grandi compagni e amici che ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare".

Chiusa l’esperienza in Virtus, Germano attraversa la strada: in casa Fortitudo si muove già Beppe Lamberti. Gambini può dare una mano come giocatore. Conosce un ambiente meno stressante di quello bianconero – dove c’è il peso della tradizione e una sorta di ‘condanna’ per la vittoria – e resta folgorato. Stringe amicizia con l’onorevole Giancarlo Tesini e, una volta appese le scarpette al chiodo, resta comunque legato al mondo Fortitudo.

Così legato che, nel 1983 – nel frattempo è diventato un imprenditore di successo nel mondo dell’ottica e dell’optometria –, quando gli propongono la presidenza della Fortitudo, non ci pensa due volte.

Non c’è mai stato nessuno, nella storia di Basket City, capace di essere prima il capitano della Virtus, poi il presidente della Fortitudo. Sette stagioni, dal 1983 al 1990, con tante soddisfazioni, qualche delusione e colpi sognati.

Già, perché almeno un paio di volte, Germano, si lascia scappare l’idea di portare Dino Meneghin all’ombra delle Due Torri. In fondo, qua, ci sono già stati altri pivottoni del giro azzurro, da Tojo Ferracini a Spitz Vecchiato. Arrivasse Super Dino sarebbe la ciliegina. Niente da fare: Dino resta legato a Milano, Gambini ci prova anche con Generali, ma Pietrone non andrà in Fortitudo.

Ma il colpo da mille e una notte c’è comunque. Perché in via San Felice approda una vera e propria leggenda Nba. Questa volta, non è come negli anni Settanta, quando arriva Connie Hawkins, ma non viene nemmeno tesserato. Questa volta, siamo nel 1988, la Fortitudo mette sotto contratto l’Artiglio, ovvero Artis Gilmore.

Poi c’è la lungimiranza di aspettare George Bucci, che per liberarsi dall’etichetta di straniero accetta l’idea di giocare per una stagione in Promozione, allo Sferisterio, con la maglia dell’Elleppi. Un altro colpo da ascrivere all’intelligenza di Germano che crede e punta sui giovani. E’ lui che convince Nino Pellacani, promesso sposo di Perugia (nel 1982/83 giocava a Reggio Emilia) a scegliere le Due Torri. E’ lui che dà fiducia a Zatti e Iacopini.

E’ lui che dice no al Banco Roma, che arriva a offrire 650 milioni (di vecchie lire) per Marco Bergonzoni. E’ sempre lui che si oppone alla cessione di Andrea Dallamora e Andrea Sciarabba: gli viene prospettata l’idea di arrivare fino a 16 miliardi (sempre di vecchie lire) con i quali potrebbe sistemare i conti e forse ritirarsi a vita privata.

Ma Germano dice no. E quando gli sponsor si fanno meno generosi, non ha paura a restare nella mischia, lanciando in panchina un giovanissimo Stefano Pillastrini.

Fortitudo non propriamente ricca, ma sempre orgoglioso del proprio presente e della propria storia. Non mancano le schermaglie nel derby e, nella stagione delle stracittadine del sorpasso – il 2-0 nei playoff ai danni della Virtus di Kresimir Cosic e Kyle Macy – e nell’anno del Grande Freddo immortalato dalle magliette di Nino Pellacani, ci sono sempre la generosità e le intuizioni di Germano Gambini. Uno dei giganti della storia Fortitudo.

(46. continua)

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