Pepito Rossi, l'amarezza di un campione sfortunato: "Il calcio è finto, mi ha voltato le spalle"
L'ex fuoriclasse della Fiorentina si è lasciato andare a un amaro sfogo. Oggi allena i bambini negli Stati Uniti, in un'academy che porta il suo nome
Firenze, 21 aprile 2024 - Nel 2011 Giuseppe Rossi era considerato un astro nascente, di quelli da coccolare con cura. Talento raro, sopraffino. Raramente in Italia si è visto di meglio. Bisogna scomodare i grandissimi. Roberto Baggio. Del Piero. Oppure Totti. Qui è il gusto personale a decidere.
Ma la cifra tecnica era di quel livello lì. Quella fisica purtroppo no. Infortuni a ripetizione (anche gravi) che nel corso della carriera ne hanno frenato l'ascesa. I tifosi della Fiorentina se lo sono goduti nella seconda parte del 2013. Arrivò a gennaio da infortunato.
Un'intuizione lampo di Daniele Pradè. Mesi di lavoro e riabilitazione per farsi trovare pronto per il ritiro estivo. In quei mesi Rossi dette spettacolo. Capocannoniere della Serie A, la tripletta alla Juventus in una domenica indimenticabile. Fino al nuovo crack contro il Livorno il 5 gennaio del 2014. Prima di quel periodo lo volevano tutti, quanto incantava i tifosi del Villarreal. Si parlò del Barcellona, poi del Bayern Monaco. Da Conte a Guardiola, erano tutti pazzi per lui. Il post Fiorentina è stato poca roba, sempre alle prese con infortuni.
Oggi Pepito è tornato a vivere negli Stati Uniti. Ha aperto un'academy che porta il suo nome e nella quale insegna in prima persona ai bambini a giocare a calcio. Il suo nome è tornato alla ribalta nelle ultime ore per un'intervista rilasciata a 'FanPage' che ha fatto riflettere, nella quale ripercorre le tappe e in rimpianti della carriera.
«Al Barcellona ci sono andato molto vicino. Avevo fatto una grandissima annata al Villarreal, con 35 gol segnati quell’anno. Guardiola mi voleva per formare il tridente con Messi e David Villa. Il contratto con il Barcellona era già pronto, poi non sono riusciti a trovare l’accordo.
Ma anche la Juventus lo voleva: «Esatto. Il mese dopo mi hanno chiamato dalla Juve. Ho fatto anche una chiacchierata con Conte. Dopo Del Piero volevano che ci fossi io, era un’offerta che non potevo rifiutare. Sono andato dal Villarreal con la proposta dei bianconeri: a livello economico era molto più alta rispetto a quello che prendevo ed erano disposti a pagare 30 milioni di euro, 28 più due di bonus. Era tutto fatto, solamente che durante quel mese era già stato ceduto Santi Cazorla, un pezzo fondamentale della nostra squadra, e non volevano vendere tutti i migliori. Eravamo in Champions e quindi si puntava a fare bene lì. Mi hanno detto che non potevano lasciarmi andare, quindi mi hanno chiuso in una stanza e abbiamo cercato di fare un contratto che mi soddisfacesse. E sono rimasto». Comune denominatore della carriera gli infortuni: «Sono stati momenti duri, molto duri. Anche momenti di solitudine: mi sentivo solo perché il calcio è un mondo strano, che vedo un po’ finto, perché quando le cose vanno bene ti stanno tutti attorno. Poi quando hai qualche infortunio, come i miei, non ti guardano in faccia. E' un peccato, perché ho sempre pensato che il calcio fuori dal campo fosse un posto onesto. Però, purtroppo quando si diventa grandi si impara di più sul mondo in cui vivi. Dovevo trovare le persone giuste attorno a me, ossia la mia famiglia. Sono stato fortunato ad avere loro perché non volevo mai mollare il sogno che avevo da piccolo. Un sogno non soltanto mio, ma anche di papà, di mia sorella, di mia mamma. Se ho qualche rimpianto? No. Perché sono sempre riuscito a tornare con lo stesso entusiasmo, sempre più forte, con voglia di lottare e di godermi il calcio. Quello in campo, il più possibile».
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