Il brasiliano e la firma sul gioco viola come un grande regista. Zitti tutti, dirige Arthur. Il Visconti di Firenze
Secondo l'autore, nella Fiorentina di Italiano, il regista in campo è fondamentale per il successo della squadra. Arthur Melo sembra essere l'unico irrinunciabile, mentre altri giocatori deludenti non riescono a svolgere le stesse funzioni. La sua presenza determina l'armonia o le stonature della squadra.
E’ una legge che nel mondo dello spettacolo conoscono da sempre. Prendi un copione e un gruppo di attori, dalli in mano a un regista scarsino e poi affidali a un grande del mestiere come Visconti o Sergio Leone. Sembrerà di vedere due film diversi. Lo stesso vale nella musica. Prendi un’orchestra, falla dirigere a un raccomandato politico e poi a un grande del podio tipo Abbado o Muti: sembrerà di ascoltare due sinfonie diverse. Magari è solo una suggestione, ma a me pare che la Fiorentina afona di questo periodo stia a lì a suggerirci come questa legge valga anche nel Calcio. O quantomeno valga nel calcio che ha in testa mister Italiano. Se nella Fiorentina non funziona il "regista", se l’uomo con la bacchetta in campo sbaglia la partita, la squadra si smarrisce e suona uno spartito inascoltabile. Nessuna prova scientifica (che il calcio, come l’amore, con la scienza ha poco a che fare,) ma tre indizi suggeriscono questa conclusione. Riavvolgiamo il nastro.
Nella Fiorentina 1 di Italiano, stagione 2021/2022, quando Von Karajan Torreira era in giornata, la Fiorentina sprigionava una musica magnetica che incantava, raccogliendo spesso applausi anche in caso di sconfitta. E così nella Fiorentina 2: le partite migliori della scorsa stagione sono state quelle nelle quali un regista atipico qual era Amrabat, imponeva in mezzo al campo la sua presenza dominante, rendendo la squadra armonica ed esemplare. La Fiorentina 3 di questa stagione non sfugge alla regola: il suo periodo aureo, che va dalla fine di agosto a metà ottobre, coincide con la direzione impeccabile di Arthur Melo, che forse non a caso ha lo stesso nome di Toscanini. Arthur, dunque, "il fondamentalista del passaggio", come scrisse "El Pais" al suo arrivo in Spagna, paragonandolo a Iniesta e in questo sbagliando. Perché, per il baricentro basso, per quel controllo di palla orientato e quella serie di finte a protezione del pallone che a Barcellona chiamano "pelopina", lui sembra assomigliare più a un altro piccolo genio del regia quale Xavi Hernandez.
Comunque sia, il brasiliano direttore d’orchestra sembra essere oggi un indispensabile nella manovra viola. Più del magnifico egoista Nico Gonzalez, calciatore di talento ma adatto al virtuosismo del solista che non all’armonia del coro. Più di Bonaventura, da sempre ciliegina su una torta composta con altri ingredienti. Per questo, in una Fiorentina che sotto la guida di Italiano ha scelto la via del calcio corale, Arthur sembra essere oggi l’unico irrinunciabile della rosa. L’uomo che dal podio razionalizza calcio e l’accorda, che riflette dove tutto sembra istinto e che per questo determina fortune o sventure, armonia o stonature. Un immancabile, visto che l’altro calciatore in rosa che potrebbe svolgere le stesse funzioni, ovvero Maxime Lopez, sta purtroppo deludendo a ripetizione, non riuscendo a riproporre le belle qualità espresse a Sassuolo. Arthur l’imprescindibile, insomma. Con il dubbio se ciò sia un dono o una condanna. Per lui e pure per la squadra
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